Mafia nei parchi, i Di Dio registi del sistema criminale Il caso del terreno venduto due volte ad enti pubblici

Comprare qualcosa di cui si è già proprietari. Un paradosso ancora più grave se l’acquirente è un ente pubblico. Oltre 221 milioni di lire nel 1984 e altri 440mila euro negli anni Duemila per acquistare sempre gli stessi terreni in contrada Quacella, a Polizzi Generosa. È uno degli episodi ricostruiti nell’operazione Terre emerse della Dda di Caltanissetta che vede al centro gli affari della famiglia Di Dio, originaria di Capizzi. In carcere sono finiti Domenico – detto u zu Ninu Bonasira – sua moglie Caterina Primo, i suoi figli Antonio (classe 1987) e Giacomo (classe 1984), suo genero Giuseppe Fascetto Sivillo (marito della figlia Marisa) e Giovanni Giacomo Di Dio (figlio di Santo, detto u gadduzzu). Tutti accusati di concorso in associazione per delinquere di tipo mafioso perché, pur non essendo inseriti nel mandamento mafioso di San Mauro Castelverde (Palermo) avrebbero determinato «un significativo incremento del potere di infiltrazione in attività economiche lecite collegate allo sfruttamento di vaste aree agricole nei territori del Parco delle Madonie, di Capizzi e della provincia di Enna, per l’ottenimento di contributi comunitari». 

I componenti della famiglia Di Dio si muovono tra le province di Palermo, Enna, Messina e Catania, intrattenendo rapporti con elementi di vertice di Cosa nostra: sono «cugini» – come si chiamano tra loro nelle conversazioni telefoniche intercettate – dei fratelli Domenico e Rodolfo Virga (finiti agli arresti domiciliari) del mandamento mafioso palermitano di San Mauro Castelverde; sono un punto di riferimento per i fratelli Stanzù, che come loro sono originari di Capizzi, e per la famiglia mafiosa di Mistretta nell’area tra le Madonie e i Nebrodi; nell’Ennese – dove si trova la maggior parte delle aziende agricole riferibili ai Di Dio – i contatti sono con i fratelli Maurizio e Antonio Spitaleri; sul versante catanese i rapporti sono intessuti con la famiglia Costa Cardone (dei Nizza che fa parte del clan SantapaolaErcolano) e con soggetti che gravitano nell’orbita del clan Laudani.

Alla base del doppio acquisto dei terreni a Polizzi Generosa c’è la mancata registrazione al catasto da parte degli uffici regionali di un esproprio. Registrazione che invece avviene solo alla consorteria del Demanio della Regione. È il 1984 quando alcuni terreni entrano a fare parte del patrimonio indisponibile della Regione Siciliana tramite un decreto di esproprio. ll Demanio compra dai fratelli D’Anna (originari di Castelbuono e considerati l’anello di congiunzione tra i Di Dio e Antonio Giovanni Maranto, ritenuto esponente di spicco della famiglia di Polizzi Generosa) i terreni per poco più di 221 milioni di lire che restano, però, intestati alla famiglia D’Anna. Una incredibile dimenticanza che permette agli stessi D’Anna, negli anni Duemila, di rivenderli al Parco delle Madonie e a Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) per 440mila euro. Particelle che «non potevano essere in alcun modo oggetto di compravendita con Ismea – si legge nelle carte dell’inchiesta – in quanto di proprietà del Demanio della Regione Siciliana». 

In un sistema collaudato, i componenti dell’allargata famiglia Di Dio fungono da teste di legno: riacquistano i terreni da Ismea per ottenere contributi comunitari da canalizzare nei circuiti criminali. Grazie anche a una rete di società agricole: la Fratelli Di Dio (soci sono Antonio e Marisa figli di Domenico Di Dio); Il Risveglio che ha come socie Caterina Primo e Anna Catania Cerro (moglie e nuora di Domenico Di Dio), e Gramonte con socie la moglie di Giacomo Di Dio e la figlia di Santo Di Dio.

«Artifici e raggiri», definiscono gli inquirenti i metodi con cui i Di Dio si dichiarano falsamente proprietari di fondi agricoli che, in realtà, fanno parte del demanio forestale e sono di proprietà della Regione Siciliana. Alla truffa avrebbe partecipato anche il notaio Giuseppe Dottore originario di Grammichele, in provincia di Catania (sottoposto alla misura cautelare di sospensione dell’attività professionale e accusato di falsità ideologica). Sarebbe lui infatti ad avere redatto «artificiosamente» un atto di donazione in cui Domenico Di Dio dichiara di aver acquistato, per usucapione, alcuni terreni (con un’estensione di circa 538 ettari e un valore di oltre 800mila euro) in contrada Timpa Rossa a Polizzi Generosa. I fondi, in realtà, fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione e tuttavia vengono trasferiti ai figli Giacomo e Antonio e dati in affitto a due società agricole create ad hoc dalla famiglia Di Dio per ottenere contributi comunitari Agea. 


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