Mafia, le motivazioni della condanna a Incarbone Centri commerciali, Pua e il legame con Lombardo

Un imprenditore, ritenuto dai giudici, associato a Cosa nostra che negli anni avrebbe consolidato uno stretto rapporto con il vertice provinciale della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. In mezzo ci sono svariati affari e il legame con l’ambiente politico targato Movimento per le Autonomie. È questo il quadro che tracciano dell’ingegnere ennese Mariano Incarbone i giudici della terza sezione penale della corte d’appello di Catania presieduta da Carolina Tafuri, nelle motivazioni della sentenza che lo ha condannato in secondo grado a cinque anni per associazione mafiosa. Tre in meno rispetto a quella di primo.

Figlio di Domenico Incarbone, imprenditore deceduto nel 2000 ma definito dai giudici «in provato odore di mafia» grazie alle accuse di Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina che svelò ai magistrati il sistema delle tangenti negli appalti in Sicilia. Incarbone padre, presentato a cavallo degli anni ’80 come «amico degli amici di Catania» concretizzò con Siino pure un affare legato alla vendita della cooperativa La Sigonella. Gli Incarbone sono delle vecchie conoscenze del palazzo di giustizia etneo. Sono stati «imputati per truffa, associazione a delinquere dedita alla turbativa d’asta e falsi per l’aggiudicazione di appalti pubblici in concorso». Accuse finite in una bolla di sapone con il decorrere del tempo grazie alla prescrizione

Nelle centinaia di faldoni dell’inchiesta Iblis sono finiti come già accennato i legami con Vincenzo Aiello, capo provinciale dei Santapaola-Ercolano e responsabile dell’area calatina di Palagonia e Ramacca, la stessa dove operava Franco Costanzo, uno degli affiliati di maggiore fiducia condannato in appello a undici anni e quattro mesi. Il rapporto tra Incarbone e Aiello avrebbe portato «consistenti vantaggi a discapito di altri imprenditori». L’imprenditore ennese, dal canto suo, si sarebbe impegnato a coinvolgere il boss «per talune iniziative imprenditoriali», tra cui il parcheggio di piazzale Sanzio a Catania ma anche «per assicurare il pagamento, da parte di altri imprenditori, della messa a posto in favore del clan». Senza mezzi termini, per il collaboratore Giuseppe Mirabile, Incarbone «era uno che portava le estorsioni».

A dare indicazioni agli investigatori sull’imprenditore sono anche altri due collaboratori di giustizia: Ignazio Barbagallo e sopratutto Santo La Causa. L’ex reggente, pentitosi nel 2012, a distanza di due anni dagli arresti dell’operazione Iblis, accostò Incarbone ad Aiello che «si adoperava – si legge nelle motivazioni – per farlo lavorare nella realizzazione di un complesso alberghiero che doveva sorgere alla Playa di Catania». Ad occuparsi dei contatti tra i due sarebbe stato il geometra Giuseppe Rindone, dipendente della società Icob di Incarbone, ma sopratutto affiliato alla famiglia Santapaola (condannato definitivamente nel processo Dionisio e in primo grado a 12 anni in un troncone di Iblis, ndr). Un espediente che avrebbe consentito a Incarbone «di rimanere nascosto sopratutto per il suo stretto rapporto con ambienti della politica».

Le aziende dell’imprenditore, la Icob e la Coesi, nel 2008 – anno delle elezioni regionali che sanciscono l’elezione di Raffaele Lombardo alla Regione siciliana – compaiono nel bilancio dell’Mpa per un finanziamento a titolo di contribuzione per una somma complessiva di 50 mila euro. Nelle pagine delle motivazioni vengono menzionati anche i lavori per la piscina privata nella tenuta di campagna dell’ex governatore. «Aveva lavorato – scrivono i giudici – con Vincenzo Basilotta e Francesco Ferrero detto Ciccio Vampa», anch’essi ritenuti vicini a Cosa nostra catanese. Il cognome di Incarbone è finito anche nelle pagine della sentenza di condanna di Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa. Le ombre in questo caso si affacciano sul mega affare da 300 milioni di euro del Pua (Piano Urbanistico Attuativo, ndr)

Dubbi e perplessità anche per la realizzazione del centro commerciale Porte di Catania sui terreni dell’editore Mario Ciancio. In questo specifico caso, secondo il giudice Rizza, ci sarebbe stata una regia politica con al vertice colui che viene indicato come «il capo»; ossia Raffaele Lombardo descritto come «portatore di uno specifico interesse a che Incarbone fosse assegnatario» dell’’appalto in questione per i lavori di contrada Pigno nell’’area in prossimità dell’aeroporto di Catania. Nella lista dei lavori effettuati da Incarbone – insieme a Sandro Monaco, altro imputato del processo Iblis – c’è anche il centro commerciale Sicilia Outlet Fashion Village ad Agira. Sul fronte difensivo è certo il ricorso in Cassazione.


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Depositate le motivazioni della condanna a cinque anni per l'imprenditore ennese. Figlio di Domenico Incarbone - definito dai giudici «in provato odore di mafia» -, Mariano Incarbone secondo i pentiti «era uno che portava le estorsioni». Oltre ad aggiudicarsi diversi appalti importanti nel Catanese

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