La figlia 13enne di un presunto grossista della droga ha fatto saltare un blitz dei carabinieri avvertendo la madre. È solo uno dei casi contenuti nelle carte dell'inchiesta Dokss a San Giovanni Galermo, che fa emergere il ruolo femminile nell'organigramma di Cosa nostra. Gli uomini non ci stanno: «Si sentono tutte Rosy Abate»
Mafia, l’autonomia delle donne nello spaccio «Mamma, ni fimmanu i vaddia. Leva la cosa!»
Semplici gregarie per mariti o familiari detenuti, corrieri delle droga e, in alcuni casi, dotate di una così elevata autonomia da riuscire a gestire da sole il mercato delle sostanze stupefacenti. Sono quelle che gli inquirenti identificano come le donna di Cosa nostra catanese, protagoniste di una sorta di emancipazione criminale che non sempre viene accettata dagli uomini. Come emerge chiaramente dalle carte dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’operazione antimafia Dokss. «Sua moglie è arrivata e ci ha detto: “Adesso dovete parlare con me e tutto quello che fate lo dovete portare qua”», dice un uomo al suo interlocutore che risponde: «Ma qui mica siamo a Palermo o Napoli, qua siamo a Catania». La replica non si fa attendere e lo spunto è al personaggio di Rosy Abate, celebre per essere la protagonista della fiction Squadra antimafia, dove recita il ruolo di una madrina di mafia: «Adesso si sentono tutte come lei».
In manette, nell’operazione dei carabinieri che ha portato a 54 provvedimenti, sono finite tre donne, ma si delinea con chiarezza anche il ruolo di chi non è stata iscritta nel registro delle indagate, come una ragazza di 13 anni anni che avrebbe dimostrato «un talento criminale assolutamente precoce». Tanto da mandare in bianco i carabinieri durante una perquisizione alla ricerca di cocaina. «Mamma ni fimmanu i vaddia», scrive con un sms, prima di telefonare alla familiare per invitarla a spostare la cocaina nascosta dentro un garage: «C’è la cosa, levala». Dall’altro lato della cornetta però l’invito non viene recepito immediatamente: «Che è successo? Io non ho le chiavi». «Mamma io non riesco ad arrivare in tempo, vedi che cosa puoi fare tu», replica la giovane. Alla fine la cocaina viene nascosta dentro un macchina e la ragazza finisce nuovamente intercettata dai carabinieri mentre rimprovera il padre, reo di avere agito in modo imprudente: «Se tu mi ascoltavi andavamo via prima […] ti avevo detto di scendere subito».
«Digli a tuo marito che deve tenere gli occhi aperti». Uno spaccato a parte è quello che ha come protagonista la destinataria di questo messaggio, identificata in Desiree Musumeci, 28 anni sposata con Daniele Buttafuoco. Entrambi sono finiti in manette perché si sarebbero occupati, alternandosi tra di loro, di smerciare cocaina. Con loro avrebbe operato anche la giovane cognata Corin Musumeci, adesso finita agli arresti domiciliari. Da una casa di Gravina di Catania, scrivono gli inquirenti, avrebbero «rifornito con continuità un vasto giro di clienti». Nelle intercettazioni emergono le modalità con cui avveniva la vendita ma anche le lamentele che Desiree Musumeci in più di un’occasione esternava per il comportamento del marito. Ad accogliere i suoi sfoghi quello che i carabinieri definiscono «l’amante»: all’anagrafe Antonio Mangano, pusher finito in affidamento ai servizi. «Ce l’ha con me perché ieri sono stata un giorno in ferie […] ma lui gli spacchiamenti li fa perché ci sono io a casa, il bello è che devo combattere con duemila maschi». Allusione che la donna avrebbe fatto, secondo gli inquirenti, riferendosi al via vai di clienti verso la sua abitazione, allestita come centro di smistamento di droga: «Ieri mi sono coricata un poco e mi hanno svegliato da quante suonate ci sono state».
Quando c’era bisogno di cocaina a spostarsi sarebbe stata proprio la donna. Dalle intercettazioni dei carabinieri emergono diverse consegne di denaro ad Alessandro Palermo, finito in manette perché ritenuto uno dei fornitori di polvere bianca nel rione di San Giovanni Galermo. Un incontro tra i due, il 13 giugno 2014, viene fissato nel noto locale del lungomare Cafè de Paris, salvo poi essere rinviato a casa dell’uomo. «Questi sono 500 – dice Musumeci, mentre presumibilmente consegna del denaro – non sappiamo a chi dobbiamo accontentare, piano piano ci facciamo il giro».
Nella gerarchia dello smistamento di droga sarebbe entrata anche la sorella, la 22enne Corin Musumeci. Assunta per evitare «di sospendere, anche per qualche ora, l’attività di spaccio», scrive il giudice nell’ordinanza di custodia cautelare. La giovane, che dopo il blitz è finita ai domiciliari senza disdegnare l’uso di Facebook per lanciare messaggi intrisi di tristezza per l’arresto della sorella, si sarebbe relazionata con il cognato per procedere allo smercio di droga. I due in un’occasione vengono intercettati mentre l’uomo, secondo i carabinieri, è intento a spiegarle il funzionamento di un bilancino di precisione: «La metti nel telefonino e premi la T». Non sempre i piani vanno come si vorrebbe e a fare saltare il banco è l’avvistamento di una macchina in borghese delle forze dell’ordine. La vedetta è una donna, non indagata, che informa il figlio della presenza di una Seat Ibiza. Subito dopo ecco la chiamata di Buttafuoco a Musumeci: «Adesso chiudi la porta, affacciati dall’occhiolino e dimmi che macchine ci sono».