Dopo la notizia di otto consiglieri citati nella relazione della commissione regionale antimafia in molti si sono chiesti se ci siano i profili per procedere al commissariamento. «Si dovrà dimostrare che il legame di parentela abbia avuto delle ripercussioni sull'attività», afferma il docente di Diritto Giancarlo Ferro
Mafia in Comune, l’ipotesi di scioglimento «Molto dipende da sensibilità del prefetto»
Ci sono i presupposti per sciogliere il consiglio comunale di Catania per mafia? Secondo il movimento politico Catania bene comune la risposta è si. Ma la domanda è da ieri al centro degli interrogativi di semplici cittadini e non, dopo la pubblicazione degli otto nomi di consiglieri – sette comunali e uno di quartiere – segnalati dalla commissione regionale antimafia ai colleghi dell’istituzione nazionale. Tre indicati come principali – Riccardo Pellegrino, Erika Marco e Lorenzo Leone – ai quali si aggiungono Salvatore Giuffrida, Salvatore Spataro, Alessandro Porto, Maurizio Mirenda e Francesco Petrina. Secondo i giuristi, quello della scioglimento per mafia è l’extrema ratio, una misura eccezionale – che può durare da 12 a 24 mesi – alla quale si arriva dopo un lungo procedimento che dipende dalla relazione disposta dalla prefettura locale.
Secondo i dati raccolti dall’associazione Avviso pubblico, dal 1991 in Sicilia sono stati sciolti 66 Comuni, dieci dei quali nel Catanese. «La misura serve a fronteggiare un’emergenza straordinaria», spiega Giancarlo Ferro, docente di Diritto costituzionale dell’ateneo di Catania. Per attuare il provvedimento devono emergere «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso», prosegue il docente. Verrà avviata in questo caso l’istruttoria? «Molto dipende dalla sensibilità del prefetto – risponde il docente – In concreto si dovrà dimostrare che il legame di parentela o di vicinanza abbia avuto delle ripercussioni sull’attività dei consiglieri». Ma Ferro invita alla prudenza e ricorda come il «concetto delle colpe dei padri che non devono ricadere sui figli sia accertato da secoli – sottolinea – Vero è che potrebbero esserci dei legami, ma è da accertare se si sia manifestata una eventuale infiltrazione mafiosa». Il prefetto, intanto, può anche disporre la sospensione dei singoli elementi che siano ritenuti responsabili di aver condizionato in qualche maniera le decisioni del consiglio, oppure siano serbatoi di voti inquinati. Punto di partenza sarà l’analisi delle certificazioni rese al momento della candidatura alle elezioni.
Secondo la normativa, per avviare il procedimento la prefettura incarica una commissione di indagine, composta da tre funzionari su delega del ministero degli Interni. Dopo tre mesi, prorogabili per altri tre, la relazione viene inviata alla prefettura. Dopo la consultazione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e del procuratore della Repubblica, il documento viene inviato al ministro. Vengono indicati anche «gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica», cita il giurista. Nel caso in cui si arrivi allo scioglimento, la misura è disposta dal presidente della Repubblica, dopo l’assenso del Consiglio dei ministri. La decisione viene quindi trasmessa alle Camere. Cessano a questo punto tutte le cariche comunali compresa quella del sindaco e subentra una commissione straordinaria.