Mafia, il pizzo al telefono e l’affare dei parcheggi La vittima: «Loro gestiscono un box all’aeroporto»

Se prepari i soldi non sbagli. Il messaggio è sempre lo stesso. Vuoi stare tranquillo? «Sistema 100mila euro, altrimenti cercati l’amico buono». Le investigazioni dei magistrati della procura di Catania, scaturite la scorsa settimana nel blitz Zeta, portano anche al sottobosco del mondo di parcheggi e autonoleggi nei pressi dell’aeroporto Fontanarossa. Tutto parte da una telefonata intercettata. Due uomini decidono di muoversi alla vecchia maniera. E da una cabina telefonica posizionata davanti alla caserma dei carabinieri di Acireale effettuano la chiamata. Poche parole che secondo la polizia nascondono un tentativo di estorsione. Destinatario un noto imprenditore, socio all’interno di un’azienda che si occupa di un parcheggio a pagamento. Ma c’è dell’altro.

A indirizzare Giuseppe Verderame e Simone Piazza, ritenuti affiliati al gruppo mafioso dei Santapaola-Ercolano, sarebbero stati altri imprenditori, impegnati nello stesso settore del destinatario delle telefonata. Così nel registro degli indagati sono finiti anche i nomi di Giovambattista Gangemi e Ivan Gangemi, padre e figlio. Per i magistrati i picciotti del clan Zuccaro si sarebbero mossi su loro mandato. A mettere in correlazione i fatti, e ad aggiungere altri elementi, non è solo la polizia ma anche la presunta vittima. Due mesi dopo quella telefonata all’interno del suo parcheggio si consuma un doppio furto: «Ai danni dei titolari di due società ai quali abbiamo affittato i box e i posti auto», racconta il testimone. Gli inquirenti mettono insieme i tasselli e arrivano fino al 2014. Anno in cui una dipendente della ditta Auto e moto noleggi denuncia le presunte minacce ricevute da Gangemi. Fatto che, come si legge nell’ordinanza, «dimostra l’attitudine di imporsi nel mercato a discapito dei possibili concorrenti mediante l’utilizzo di metodi violenti e intimidatori».

La procura per i due presunti mandanti dell’estorsione aveva chiesto la misura cautelare, poi non accolta dalla giudice per le indagini preliminari Marina Rizza. Gli indizi raccolti non sono stati ritenuti «sufficienti» e «univoci», nonostante agli atti siano finite anche diverse intercettazioni telefoniche. Contatti che, comunque, dimostrerebbero «le cointeressenze fra i Gangemi e alcuni qualificati esponenti del gruppo Zuccaro». Nell’elenco finisce pure Rosario, figlio del capomafia ergastolano Maurizio. In una telefonata Giovambattista Gangemi afferma che la moglie del boss «dovrebbe fare un po’ di terapia in acqua». Zuccaro replica in maniera affermativa e poco dopo spiega che forse il fratello – il cantante neomelodico Andrea Zeta, anche lui finito dietro le sbarre – è stato a Messina. Perché Gangemi lo cerca? «Mi deve firmare una cosa», spiega al suo interlocutore. I due, secondo gli inquirenti, parlavano di «affari non ostentabili in quanto illeciti».

Ma il vero core business della famiglia Gangemi restano i parcheggi. A farlo notare agli inquirenti è la stessa vittima della presunta estorsione quando viene sentita. «Loro – si legge nel verbale – gestiscono in appalto un box per autonoleggio all’interno dell’aerostazione». La società di famiglia, con sede a San Giovanni La Punta, si chiamava fino all’inizio del 2017 AP Transfer. Salvo poi essere ceduta alla AG Transfer. Al vertice c’è sempre il 30enne Ivan GangemiVincitore nel 2015 dell’appalto quinquennale bandito dalla Società aeroporto Catania per la concessione di un box all’interno del terminal arrivi e di 55 stalli auto dietro la pista. Un affare da 519mila euro che garantisce alla società un ufficio per il disbrigo pratiche al banco. Proprio grazie al nome della ditta gli inquirenti arrivano a Gangemi. La macchina utilizzata per raggiungere il telefono pubblico durante il presunto tentativo di estorsione era stata acquistata da loro. E lo stesso veicolo, una Fiat Panda, durante le indagini «era spesso localizzato presso la sede della ditta», si legge nei documenti. 

Gli affari della famiglia Gangemi tuttavia si allargano anche al settore della casa. Come MeridioNews ha potuto accertare Gangemi junior dal 2016 è amministratore della Alice immobiliare, anche questa società con sede a San Giovanni La Punta. Il 2 dicembre 2016 le microspie registrano una conversazione tra il padre dell’imprenditore e Verderame (quello della telefonata dalla cabina pubblica). I due, secondo la ricostruzione, si stavano recando a San Giovanni La Punta «al fine di risolvere alcune procedure esecutive che gravano su alcuni immobili dei Gangemi». Cioè riprendere le abitazioni perse dagli imprenditori all’asta, attraverso un accordo con i nuovi proprietari. Ma qualcosa sarebbe andato storto, con una discussione degenerata, tanto che Gangemi senior avrebbe schiaffeggiato il suo interlocutore. Fatto che fa comparire in questa storia pure un esponente del clan dei Laudani. Ognuno, a quanto pare, avrebbe cercato le sue protezioni mafiose per «abbissare» la questione. 


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