Uno per ogni cosca mafiosa. Sono i principali esponenti arrestati tra luglio 2014 e giugno 2015. Tra i nomi più pesanti c'è quello di Nuccio Mazzei, catturato dopo un periodo di latitanza. Gli altri nomi sono quelli di Benedetto Cocimano, Sebastiano Laudani, Sebastiano Balbo e Carmelo Di Stefano
Mafia, gli arresti eccellenti nelle cosche etnee La lista di boss e capi nelle mani della giustizia
Nel periodo sotto la lente d’ingrandimento nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia ci sono anche i risultati raggiunti con la cattura dei principali esponenti della mafia all’ombra dell’Etna. La caccia a latitanti e boss resta uno dei canali investigativi chiave per ricomporre il puzzle dei pezzi mancanti all’interno dell’organigramma delle varie cosche. Quello che segue è l’elenco degli uomini che vengono considerati dagli inquirenti i principali vertici catanesi.
Nuccio Mazzei, arrestato il 10 aprile 2015
(Clan Mazzei)
Quando lo hanno stanato, era dentro una villetta alle pendici dell’Etna. Con lui la moglie e l’amato cane. Viene considerato un capo vero, alla vecchia maniera. Nel suo sangue scorrerebbe linfa mafiosa. Il padre è Santo ‘U carcagnusu, anziano patriarca della mafia catanese, protagonista negli anni ’90 di una solida alleanza con l’ala più violenta di Cosa nostra palermitana: quella capeggiata da Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Il regno di Nuccio sarebbe il quartiere di San Cristoforo ma i suoi interessi si estenderebbero anche fuori dal reticolo di vie del centro storico. È considerato un boss con uno spiccato fiuto per gli affari. I canali d’investimento privilegiati sono le discoteche ma anche il settore della ristorazione.
Orazio Benedetto Cocimano, 6 luglio 2015
(Famiglia Santapaola-Ercolano)
Il fantasma. Uno dei tanti che si susseguono al vertice dell’unica famiglia di Cosa nostra a Catania. Orazio Benedetto Cocimano è il nome di punta dell’operazione Ghost. Sarebbe stato lui, vertici negli ultimi anni, a permettere l’ascesa nella zona sud di Catania del gruppo dei fratelli Nizza, che si occupava del traffico di sostanze stupefacenti, in contrapposizione alla cosca rivale dei Cappello-Bonaccorsi.
Sebastiano Laudani, arrestato il 15 aprile 2015
(Clan Laudani)
Iano il piccolo, sarebbe l’erede del nonno. L’anziano padrino ormai novantenne dal quale ha preso il nome. Gli investigatori lo considerano uno degli elementi di punta dei mussi di ficurinia, clan mafioso alleato della famiglia mafiosa di Cosa nostra catanese dei Santapaola. Sebastiano Laudani ha un ruolo di prestigio tanto da accomodarsi al tavolo delle scelte che contano. L’8 ottobre del 2009 viene arrestato durante il blitz Summit insieme ad alcuni tra i più importanti boss etnei: Vincenzo Aiello, Venerando Cristaldi, Rosario Tripoto, Ignazio Barbagallo e gli allora latitanti Carmelo Puglisi e Santo La Causa. Da decidere c’era la strategia da adottare contro il clan dei Cappello ormai in forte ascesa a discapito proprio dei Santapaola.
Sebastiano Balbo, arrestato il 6 luglio 2015
(Clan Cappello)
Classe 1968, è considerato «esponente di rango apicale» del clan Cappello. La cosca mafiosa che negli ultimi anni ha scalzato dal trono i Santapaola. Quando arrestano Balbo l’ultima volta è perché viene chiamato a scontare un residuo di pena. Le manette per lui erano già scattare nel 2012, quando venne stanato dentro un appartamento a Gravina di Catania. Su di lui pendeva l’accusa di tentato omicidio. Non è un boss o un capo ma sarebbe un elemento di spicco del clan mafioso fondato da Salvatore Cappello e Giuseppe Salvo.
Carmelo Di Stefano, 28 gennaio 2015
(Clan Cursoti)
L’ultima ordinanza gli è stata notificata quando era già detenuto. Arrestato nel 2009 a Mascali, Di Stefano sarebbe uno dei reggenti del clan dei Cursoti. Gruppo che ha ramificazione in sei quartieri della città di Catania e che conclude i principali affari con la droga. Nella storia di Di Stefano c’è anche la paraplegia post-traumatica e da deperimento organico causa anoressia, che lo costringeva su una sedia a rotelle. Un finto malato secondo gli inquirenti tanto da decidere di fare rientro a Catania insieme alla moglie per riprendere, secondo gli investigatori, le redini della cosca anche grazie all’aiuto del fratello Francesco.