L'uomo, fratello del boss Francesco, era finito dietro le sbarre a metà maggio. Il ritorno a casa quindici giorni dopo grazie al ricorso dei suoi avvocati al tribunale del Riesame. L'operazione è stata condotta dai carabinieri di Randazzo
Mafia dei Nebrodi, ritorna in carcere Mario Montagno Già condannato a 22 anni, chiede pizzo a imprenditore
Estorsione ai danni di un imprenditore edile, che avrebbe denunciato. Una nuova accusa pende sulla testa di Mario Montagno Bozzone, fratello di Francesco meglio conosciuto come Ciccio, quest’ultimo tra i vertici del clan Mazzei nel territorio di Bronte. L’uomo è stato arrestato sabato in flagranza di reato dai carabinieri della compagnia di Randazzo e si trova detenuto nel carcere di Bicocca. Assieme a lui, con la medesima accusa, è stato arrestato un cognato: Salvatore Gulino.
Per Mario Montagno si tratta del secondo arresto in breve tempo: il precedente risale soltanto al
16 maggio 2019, quando era stato trasferito nella casa circondariale di piazza Lanza, a Catania, a seguito della condanna a 22 anni di carcere, in Appello, per l’omicidio di Giuseppe Gullotti. Insieme a lui, alla sbarra, c’era il fratello Francesco. Per quest’ultimo la Corte ha confermato il giudizio di primo grado: l’ergastolo.
Il delitto Gullotti ha una storia lunga e complessa, che si intreccia con quella dei
clan mafiosi pedemontani. All’inizio degli anni 2000 (il delitto risale al 2002) è cominciata una sanguinosa guerra di mafia con decine di morti ammazzati. Tra i quali, appunto, quello dell’allevatore Giuseppe Gullotti, consumato a cavallo tra i territori di Cesarò e Bronte, mentre l’uomo attraversava un ponte a bordo del suo fuoristrada. Secondo gli investigatori, quest’ultimo sarebbe stato vicino alle posizioni di Salvatore Turi Catania. Antagonista di Ciccio Montagno Bozzone perché referente della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano a Bronte.
L’accusa ricostruisce
l’assassinio tramite le intercettazioni ambientali. «Inutilizzabili», secondo la difesa, ma fondamentali per la procura. Mario Montagno, scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado, «diede il proprio apporto seguendo i movimenti della vittima per coglierne le abitudini e individuare il momento propizio per l’agguato». Nel 2018 aveva fatto discutere la presenza di quest’ultimo durante un comizio politico nella vicina Maletto. Alla fine di maggio 2019, dopo 15 giorni dietro le sbarre, il Riesame ha annullato la custodia cautelare in carcere disposta dal tribunale dopo la condanna a 22 anni e ha permesso il suo ritorno a Bronte. Ma ci è rimasto per poco.