Erano «tutti dello stesso colore» ma davanti a una vittoria contestata hanno messo da parte pure l’amicizia e il legame al clan mafioso dei Cappello-Bonaccorsi. Terreno dello scontro la strada provinciale 104, nei pressi della base militare di Sigonella, in una striscia di asfalto che nell’ambiente criminale viene identificata con il termine «avvuliddi». Una sorta di ippodromo a cielo aperto fatto di cavalli carichi di anabolizzanti che sfrecciano, per circa un chilometro, davanti gli occhi di un pubblico che scommette fiumi di denaro e segue la competizione a bordo degli scooter o piazzandosi all’arrivo. Il 18 luglio 2021 sarebbe andata in scena la sfida tra la scuderia Pierino, con la stalla al civico 61 di via Testulla riconducibile alla famiglia Di Mauro, e quella del cortile Doberdò del gruppo Ragonese. Al termine della gara sarebbe però nata una controversia tra i due fantini e i rispettivi sostenitori. Oggetto del contendere chi si fosse aggiudicato la vittoria, in un traguardo improvvisato con una linea tracciata a terra, con un pezzo di gesso, e in cui l’unico foto finish disponibile è quello dell’occhio umano di chi si accalca al traguardo.
La situazione sarebbe addirittura degenerata in una sparatoria, avvenuta all’interno di una stalla nel quartiere San Cristoforo, riconducibile ad Angelo Ragonese, figlio del killer ergastolano Girolamo, condannato per l’omicidio di Raimondo Maugeri (rettifica in calce, ndr). Il caso della corsa di cavalli e di quanto avvenuto dopo fa parte di uno dei capitoli dell’inchiesta Locu, che ha portato a 42 arresti nell’ambito del clan Cappello. Per gli inquirenti – coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dalla sostituta procuratrice Michela Maresca – è utile per inquadrare il ruolo di tre indagati, Domenico Querulo – nipote dello storico boss Orazio Privitera – Rocco Ferrara e Giovanni Distefano, accusati di essere i fornitori principali di droga nelle piazze di spaccio gestite dal clan Cappello-Bonaccorsi. L’episodio della corsa dei cavalli avrebbe avuto come protagonista anche l’ex collaboratore di giustizia Giovanni Pantellaro, conosciuto con il nomignolo di giocattolo e non coinvolto in questa operazione. Sarebbe stato lui a sparare all’impazzata ferendo Daniele Termini, detto sasizza, e Giuseppe Condorelli, noto come eccepil. Entrambi non indagati.
Subito dopo la sparatoria, per risolvere la questione, sarebbero intervenuti alcuni personaggi con ruoli apicali all’interno del clan. Tra loro, nell’ordinanza, vengono riportati i nomi di Pietro Guerrera, Rocco Ferrara, Giovanni Distefano, Domenico Querulo e anche il detenuto Girolamo Ragonese che si sarebbe attivato da dietro le sbarre. «Giocattolo ha tolto la pistola dalle mani a Pierino (Giuseppe Di Mauro, ndr) e ha sparato», raccontava Querulo mentre era intercettato. Come sia andata realmente non è chiaro ma quello che è certo è che «sono passati dalle scuse alle discussioni», aggiungeva Biagio Querulo, fratello di Domenico, in un altro dialogo intercettato riportato nell’ordinanza. «Giocattolo gli prende la pistola – continua – “bam-bam”… qualche otto colpi spara, c’è stato il fuggi fuggi». Subito dopo un gruppo di persone avrebbe cercato di inseguire Pantellaro e tra loro, secondo quanto riportato negli atti dell’inchiesta, ci sarebbero stati Querulo, Ferrara e Distefano, ma l’ex collaboratore di giustizia, stando al racconto dei protagonisti, sarebbe riuscito a scappare, a bordo di una motocicletta, dirigendosi verso i lidi della Playa.
Il giorno dopo la corsa e l’incontro finito male all’interno della stalla sono i poliziotti a cercare riscontri andando a casa dei due feriti. Termini viene trovato disteso sul divano con la gamba e il piede fasciato. L’uomo racconta di essere caduto con il motorino ma sotto la fasciatura, all’altezza del piede vengono notati due fori compatibili con l’entrata e uscita dei proiettili di una pistola. A questo punto sasizza racconta la sua versione: ossia di non avere partecipato a nessuna gara di cavalli ma di essersi avvicinato a un gruppo di persone che discutevano animatamente lungo via della Concordia, quando da uno scooter transitato ad alta velocità sarebbero stati esplosi dei colpi che lo hanno raggiunto al piede. «Sono andato al Pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi centro – racconta – ma considerate le lunghe attese sono tornato a casa e ho provveduto personalmente alle medicazioni». Anche Condorelli è stato trovato con due ferite da arma da fuoco. Lui, contrariamente a Termini, ammette di avere partecipato a una gara ma di essere rientrato subito a Catania al termine della competizione. «Mentre transitavo in via della Concordia ho sentito dei colpi e immediatamente ho avvertito un bruciore alla coscia sinistra. Impaurito mi sono recato immediatamente a casa».
Alla gara, davanti ai poliziotti, racconta di avere partecipato anche Pantellaro. L’ex pentito rivela della discussione nata al termine della competizione, spiegando però di essersi subito dileguato «per non essere coinvolto». Nessun riferimento, invece, al faccia a faccia nel ricovero per gli animali. Su quanto avvenuto all’interno della stalla gli inquirenti hanno chiesto lumi pure a Michele Vinciguerra, ex vertice del clan Cappello che da circa sette mesi ha iniziato a collaborare con la giustizia. Uno dei feriti, Giuseppe Condorelli, è anche nipote dell’ex boss. «Non sono riuscito a sapere chi è stato – spiega – C’è stata un rissa tra ragazzi e non si è saputo il nome perché si sarebbe scatenata una guerra. Ho chiesto anche a un altro nipote che si occupa di corse di cavalli se si sapesse il responsabile ma non è mai emerso. Si è fatto riferimento anche che Termini si fosse sparato da solo per sbaglio ma non ho notizie».
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO dall’avvocato Francesco Strano Tagliareni, legale di Girolamo Ragonese: «Ragonese è stato condannato dalla Corte di Assise di Catania, con sentenza già passata in cosa giudicata, per l’omicidio di Raimondo Maugeri, ma non è mai stato imputato, né tanto meno condannato, per omicidio in danno di Sebastiano Fichera».
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