Il magistrato palermitano ha commentato, senza entrare nel dettaglio, l'ultima operazione della procura del capoluogo siciliano che ha portato in manette l'avvocato Marcello Marcatajo. Il civilista si sarebbe occupato della vendita di alcuni box auto per fornire liquidità al mandamento dell'Acquasanta
Mafia, colletti bianchi per il tritolo a Di Matteo Il pm: «Legame con potere forza di Cosa nostra»
Il magistrato palermitano Nino Di Matteo commenta, senza entrare nel dettaglio, l’ultima operazione antimafia della procura di Palermo che oggi ha fatto scattare le manette ai polsi dell’avvocato Marcello Marcatajo. Il civilista, molto noto nel capoluogo siciliano, avrebbe fatto affari per conto del mandamento di Cosa nostra dell’Acquasanta. «A prescindere dal caso concreto – spiega il pm – credo che sia indubbio che la vera forza della mafia siciliana sia sempre stato il collegamento con il mondo dell’imprenditoria, della politica e della finanza. Non è una novità, è nella genetica di Cosa nostra il legame con il potere. La vera forza è stata sempre questa – conclude Di Matteo – e credo che continuerà a essere così se non ci sarà, da parte delle istituzioni, uno scatto incisivo delle indagini per recidere questi rapporti».
Tra i particolari emersi nelle carte dell’inchiesta della polizia valutaria della guardia di finanza, c’è il piano dell’attentato a Di Matteo. Un ritorno alle bombe che avrebbe come mente il super latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. A raccontare i dettagli del piano è stato il collaboratore di giustizia Vito Galatolo. L’ex padrino, che aveva come quartier generale proprio l’area della città che si affaccia sul mare, ha spiegato che dietro la somma per acquistare il tritolo ci sarebbe stato un affare gestito dall’avvocato Marcatajo. Nello specifico, la vendita di trenta box auto che avrebbero consentito l’ingresso nelle casse di Cosa nostra di oltre 200 mila euro.
Di Matteo è intervenuto a Catania nei locali del monastero dei Benedetti in occasione del convegno Le verità nascoste. Nei locali, che ospitano il dipartimento di scienze umanistiche dell’università etnea, il magistrato palermitano all’inizio del suo intervento ha ricordato la figura di Elena Fava, figlia del giornalista Giuseppe, scomparsa lo scorso dicembre. «Non l’ho conosciuta bene, ci siamo visti durante un dibattito organizzato a Catania – racconta il pm -. Il suo è stato però un impegno discreto ma molto forte. Non posso non sottolineare come nella mia formazione sia stata importante l’opera giornalistica di Pippo Fava».