Ma cos’è questa moneta? A Palermo un incontro sul pensiero di Augusto Graziani

Lo scorso 5 Gennaio è scomparso l’economista Augusto Graziani, il più importante esponente italiano della Teoria del Circuito Monetario (TCM).
La TCM è di particolare attualità perché ha posto al centro dell’analisi del sistema capitalista, il ruolo della moneta, che nell’economia convenzionale è considerata neutrale. L’economista napoletano ha avuto il pregio e la capacità di sviluppare la metodologia degli aggregati keynesiani in chiave marxiana. È infatti sul concetto di economia monetaria della produzione e sul rapporto tra le classi nella produzione capitalistica che si sviluppa la TCM. Come già nell’analisi di Marx, il rapporto stretto tra categoria dei banchieri e categoria delle imprese (il capitale finanziario), che decidono di avviare il processo produttivo con la concessione di un credito da parte delle banche, è il punto cruciale. Se è vero che l’entità del finanziamento iniziale è stabilita dopo che le imprese hanno calcolato il monte salari necessario per sviluppare il loro progetto di investimento – e dunque il livello di occupazione – allora l’assunto secondo il quale la disoccupazione, in un mercato di concorrenza perfetta e con massima flessibilità del lavoro, sia volontaria, è falso. Inoltre, i salari che riceveranno i lavoratori saranno poi interamente (o quasi) spesi per l’acquisto di beni di consumo prodotti dalle stesse imprese, permettendo così alla classe degli industriali di ripagare il prestito iniziale alle banche.
Una prima fondamentale differenza tra l’economia ortodossa e la TCM consiste nella visione del ruolo del risparmio nel processo produttivo. Se per gli “ortodossi” il capitale prestato dalle banche alle imprese deriva dai depositi che si sono accumulati in precedenza grazie al risparmio delle famiglie, per i teorici della TCM in realtà le banche creerebbero le somme necessarie a far partire la produzione attraverso una scrittura contabile di accreditamento nei propri conti. Sarebbero quindi gli impieghi a creare i depositi e non viceversa. Ne deriva che la quantità di moneta in circolazione ha natura endogena, ovvero viene richiesta dal sistema. Salta agli occhi come questo contraddica un principio di politica monetaria molto in voga anche nell’attuale sistema europeo, secondo il quale sarebbe la banca centrale a controllare gli aggregati monetari e, di riflesso, il livello dei prezzi.
Un’ulteriore differenza tra la teoria neoclassica e la TCM, evidenziata da Graziani (“La teoria del circuito monetario” – Jaca Book – 1996), verte sull’interpretazione della natura del mercato. Com’è noto, secondo i neoclassici il mercato di concorrenza perfetta assicurerebbe il libero accesso a tutti gli operatori, senza alcuna disparità; eventuali differenze nella distribuzione dei redditi dipenderebbe dalle singole capacità che sono più sviluppate in alcuni soggetti rispetto ad altri (il famoso principio meritocratico). E per quel che riguarda il mercato dei capitali, le eventuali disuguaglianze reddituali vanno ricercate nella diversa propensione al risparmio dei singoli soggetti. La TCM dice una cosa completamente diversa. L’accesso al mercato dei soggetti dipende non tanto dalla disponibilità di risorse produttive, ma dalla disponibilità di mezzi di pagamento. La classe lavoratrice non possiede tali disponibilità e quindi i livelli di occupazione non possono che essere soggetti alle decisioni delle imprese. Lo stesso consumo è determinato dalle imprese, che fissando il monte salari stabiliscono anche il potere di acquisto dei lavoratori. Non vi è quindi nessun ruolo autonomo dei consumatori e non è vero – sempre secondo la TCM – che ad ogni operatore spetta una quota del prodotto che egli stesso ha contribuito a produrre, come sostengono i neoclassici.
Negli ultimi trent’anni il sistema capitalistico si è modificato (per sopravvivere, aggiungerei), ed il “circuito monetario” – ideale per interpretare un sistema caratterizzato dal rapporto tra banche e industrie (fordismo), mentre ai mercati finanziari veniva affidato il ruolo di intermediari nell’allocazione delle risorse finanziarie – ha assunto connotati diversi a seguito del processo di finanziarizzazione. Si prendano rapidamente in considerazione le ultime due crisi provocate dalle “bolle” del 2000 e 2007, provenienti dai paesi anglosassoni. Durante le crisi i mercati finanziari, attraverso l’indebitamento delle famiglie (credito al consumo e facili mutui immobiliari), hanno potuto incidere sull’intensità del lavoro salariato. In questa situazione il monte salari non è più dipendente dalle decisioni delle imprese (come nel fordismo), ma dall’entità del credito che viene concesso alle famiglie. La grandezza del credito concesso determina quindi la domanda di merci da parte delle famiglie e contemporaneamente l’ammontare degli strumenti finanziari che servono a far aumentare il valore delle attività del sistema. Ma in questa situazione, come abbiamo assistito durante la recente crisi dei subprime, è sufficiente un semplice shock ed il sistema entra in crisi.
Il processo di finanziarizzazione del capitalismo permette pertanto di rileggere in chiave moderna la TCM e quindi analizzare le cause delle crisi economiche attuali. Tale fenomeno è evidenziato in maniera molto limpida da Marco Veronese Passarella (ricercatore presso l’Economics Division della Business School dell’Università di Leeds), come ad esempio in questo articolo.

Con Marco Veronese Passarella  – autore insieme a Emiliano Brancaccio del bellissimo “L’austerità è di destra” – il prossimo 4 aprile alle ore 18:30 presso la sede del Circolo ARCI “Tavola Tonda”, in via delle Alpi 11 a Palermo, si parlerà di teoria del circuito monetario e crisi attuale, provando ad approfondire i temi qui soltanto accennati.


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