Salvatore Lupo, docente di storia contemporanea a Palermo e studioso di Cosa Nostra, è convinto che, nonostante i molti traguardi raggiunti nella lotta alla mafia, ci sia ancora molto da fare per cambiare la mentalità dei siciliani.
Gadget e magliette nei luoghi turistici con coppole e lupare, locali con nomi e arredamenti inequivocabili. Che cosa sta succedendo in Sicilia? In questo modo non si rischia di cadere in una eccessiva banalizzazione del fenomeno mafioso?
“Certo, ma si tratta anche di una strumentalizzazione simbolica perché il gadget di per sé cede a forme di mitizzazione. Partendo dal presupposto che non esiste società immune dalla criminalità organizzata, in Sicilia la simbologia mafiosa ha una tradizione chiaramente molto forte.
Purtroppo questa è una terra che vive di una serie infinita di problemi, di contraddizioni, di cosa positive e di cose negative. Il gadget rappresentativo del mondo mafioso è una cosa folkloristica per chi lo compra. È come un marchio, un logo della Sicilia. Siamo noi che dovremmo tutelarci e far sì che la nostra immagine non si identifichi con cose così deteriori”.
Nonostante fenomeni di resistenza e attivismo di questi ultimi anni, come Addio Pizzo o Libera, non ritiene che questo sia uno dei sintomi del disimpegno dei siciliani verso questi temi? I gadget mafiosi a Taormina sembrano scandalizzare più i turisti del nord che gli abitanti della Regione…
“Effettivamente c’è una grande contraddizione nella società siciliana. La mafia per certi versi in questo momento può essere considerata ai suoi minimi storici, dato che è stata messa alle corde sia nella coscienza di alcuni gruppi di opinione pubblica più consapevoli, sia da un pezzo di istituzioni che l’ha contrastata efficacemente. Ma nonostante questo, una larga parte della società siciliana continua a mostrare indifferenza rispetto a questi temi: di certo non è un segnale positivo”.
Cosa pensa dell’affermazione del sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi di voler fare un museo della mafia visto che ormai essa è sconfitta, quasi un retaggio del passato?
“La tesi secondo cui la mafia è stata sconfitta è una tesi sbagliata. Si tratta di un rischio esistente. Certo, si può fare anche un museo su una realtà attuale. Noi possiamo andare a vedere un museo sull’olocausto e certamente non diventeremo nazisti. Ma se invece andassimo in un museo celebrativo del nazismo, tutto divise, stivali lucidi e armi brillanti questo luogo potrebbe indurre alla simpatia e alla nostalgia. Bisognerebbe affrontare la questione con criterio e consapevoli dei rischi che si potrebbero correre”.
Da un punto di vista storico-sociologico in quali ambienti è più forte la mitizzazione della mentalità e della mistica mafiosa?
“In tutti. Per opinione comune la mafia è considerato un fenomeno che esercita attrazione soprattutto negli ambienti popolari, ma gli ambienti diciamo borghesi non sono assolutamente immuni da questo fenomeno. La mafia come strumento che “fa fare affari, che semplifica le procedure, che elimina la concorrenza” può essere altrettanto affascinante. È tutta una questione di mentalità che ruota attorno a una simbologia universale della mafia: l’idea di poter ottenere giustizia senza ricorrere alla legge, anzi addirittura contro la legge, l’essere quindi al di sopra della legge. E questa la frontiera sulla quale si è combattuto, si combatte e sempre si dovrà combattere”.
Quali sono gli strumenti che possono essere messi in pratica per “smontare” questo tipo di fascinazione?
“Innanzi tutto bisogna mostrare alla gente quali sono i pregi della legalità e dalla giustizia e che la legge deve e può tutelare gli interessi di tutti. Si deve dimostrare che i meccanismi di manipolazione, di corruzione, di strumentalizzazione utilizzati dalla mafia possono favorire illecitamente e provvisoriamente alcune persone ma conseguentemente ne sfavoriscono sempre di più.Fare capire alla gente “come funziona la mafia” potrebbe essere un ottimo strumento per alimentare forme di lotta e resistenza a questo tipo di fenomeni”.
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