L’Università è una cosa discutibile

Caro diario,

l’Università è una cosa discutibile.

Nel senso che la si mette in discussione continuamente, senza darle un attimo di respiro.

Cortei, riunioni, assemblee, aule occupate… E’ un Quarantotto che dicono abbia il profumo del Sessantotto (anche se io non so quanti, quel profumo, l’abbiano mai sentito) ma il nome Duemilaotto. Una cosetta così, che potrebbe apparire confusionaria, eppure in realtà è chiarissima.

Ci sono i buoni, e ci sono i cattivi. Schema vecchio quanto il mondo, lo riconoscerete.

I buoni sono quelli che “non si taglia l’istruzione”, “non si licenziano i compag… ehm, colleghi”, “ritirate la riforma Gelmini”. I cattivi sono gli altri, quelli che “non si taglia l’istruzione”, “non si licenzia proprio nessuno”, “qualcuno faccia finta di cambiare la riforma Gelmini”.

No, non è quel celebre gioco della Settimana Enigmistica, qua non ci sono le sette differenze da trovare, anche perché le differenze a sette non ci arrivano, neanche contando due volte quelle che saltano immediatamente all’occhio.

Giovedì, l’aula magna del Dipartimento di Chimica, alla Cittadella, era gremita. Assemblea d’Ateneo, si diceva. Si vociferava che tale Rettore, da taluni definito Magnifico, avrebbe fatto un intervento chiarificatore.

Non potevo perdermi la scena. Il Rettore, signori. Il Rettore. Ogni matricola deve aver sentito parlare, almeno una volta dal vivo, il proprio Rettore.

Bisbigli quando lui entra. “Il Magnifico, il Magnifico”, si sussurra alle mie spalle. De gustibus, mi verrebbe da dire.

«Un dialogo costruttivo deve caratterizzare il rapporto tra il Rettore, gli studenti e gli organi democraticamente eletti», comincia lui. «Se questo non si fosse capito, chiedo scusa.»

Brusìo, incertezza. Il Rettore chiede scusa? Dice sul serio? Nel dubbio, applausi.

Dopo la sua introduzione è tutto un carosello. Cinque minuti per ogni intervento, si decide, poi il Rettore, Magnifico sempre e comunque, risponderà a tutti.

Qualche professore e, in seguito, un paio di ragazzi del Movimento Studentesco Catanese. Le giugulari vibrano in maniera preoccupante, i fogli in mano tremano per l’impeto, i visi iniziano ad apparire cianotici. Megafomani, orfani dell’aggeggio che li ha accompagnati come una copertina di Linus, si adattano, loro malgrado, ad uno sterile microfono.

Il nuovo testo della riforma parla di meritocrazia? Parla di premi per chi gestisce bene le finanze universitarie?

«Quale Paese chiede virtuosismo agli Atenei e non alle banche? Non siamo più disposti a sentire comizi – ogni riferimento è puramente casuale – di gente che, dopo quarant’anni che ci lavora dentro, si accorge che l’Università è mandata avanti da ricercatori malpagati!»

E’ Antonio Scalia, MSC, che suscita movimenti inconsulti alle sue spalle. Il Magnifico si agita, coglie l’allusione, si fa paonazzo. L’assemblea gli chiede all’unisono di rispondere, lui inizia, chiede rispetto, viene fischiato, poi viene applaudito (la volubilità della massa), infine decide di tacere finché tutti non abbiano detto la loro, così da poter rispondere in maniera sufficientemente esaustiva a tutti, mostrando i documenti portati con sé per l’occasione, chiarendo i punti oscuri della linea di comportamento della facoltà, annullando il debito del Terzo Mondo e moltiplicando i pani ed i pesci, per sfamare la popolazione della Cina e, se qualcosa avanza, pure i ricercatori rimasti senza lavoro.

Magnifico.

Ovviamente, dall’assemblea arrivavano svariate proposte.

Gruppo Uno aveva individuato alcune possibili soluzioni varianti della riforma, le quali prevedevano il ritiro dei tagli, l’ apertura del confronto, un tetto massimo per le tasse imponibili agli studenti, il rinnegamento del numero chiuso e il rifiuto, da parte dell’Ateneo catanese, di diventare fondazione privata.

Diversa la questione per Gruppo Due, secondo il quale bisognerebbe ritirare i tagli, aprire il confronto, bloccare la quota massima delle tasse imponibili, rinnegare il numero chiuso e rifiutare, in quanto Ateneo catanese, di diventare fondazione privata.

Gruppo Tre, dal canto suo, era ben più concreto. Il loro manifesto suggeriva che si ritirassero i tagli, si aprisse il confronto, si bloccasse la quota massima di tasse imponibili, si rinnegasse il numero chiuso e ci si rifiutasse, come Ateneo catanese, di diventare fondazione privata.

L’imbarazzo della scelta, dunque.

E poi che non si dica che non sappiamo essere concreti.


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