L’Università è una cosa datata

Caro diario,
l’Università è una cosa datata.

Nel senso che vive di calendari con alcuni numeri cerchiati, o evidenziati, appuntamenti fissati, attesi e, dagli studenti, temuti.

Le matricole aspettano il primo esame con un misto di fibrillazione e terrore, ossessionate dal libretto intonso e dal pensiero che il tempo non basti per accumulare quegli importantissimi crediti di cui tutti parlano, ma che non s’è ben capito a cosa servano e come siano assegnati. Le matricole ci provano, davvero, a comprendere certi meccanismi, ma forse esulano un po’ dalle loro competenze didattiche. Sì, perché studiare un libro di cinquanta pagine, più altrettante fotocopie di saggi del professore, vale sei crediti. Poi, però, per ottenerne solo quattro, di una materia diversa, ci sono trecento pagine da studiare, tre prove scritte da superare e un orale obbligatorio a cui presentarsi.

Comunque, la matricola media rinuncia a porsi interrogativi che sa rimarranno senza risposta, china il capo sul libro, e studia, ché anche i genitori cominciano ad essere impazienti.

«Caro figlio», esordisce la madre-tipo «pago profumatamente le tue tasse, i tuoi libri, le tue fotocopie… Pago profumatamente – e in nero – pure la tua stanzetta in affitto, e adesso vorrei vedere qualche risultato. Non mi serve molto, mi bastano un paio di firme su quella specie di carnet per assegni su cui segnano gli esami che hai sostenuto. Dunque, a quando il primo? Vorrei sapere che i miei soldi non sono spesi invano, vorrei sapere che tu hai tutte le intenzioni di laurearti in fretta, ché tra un po’ quel foglio di carta là lo stamperanno su un soffice formato quattro veli, per sottolinearne l’utilità…»

La matricola, ad un accorato appello di tal genere, cosa può rispondere?

Si connette ad internet, prenota il suo primo esame, e comincia a pregare tutte le divinità esistenti, per la gioia del parentado pagante, convinto di aver riportato sulla retta via una pecorella smarrita.

Quando la fatidica data arriva, è sempre troppo presto. Un giorno in più, magari due, una settimana sarebbe proprio il massimo.

E poi, anche gli esami, come le lezioni, sono fissati ad incastro. Qualcuno (ed è possibile che si tratti di chi vi scrive) s’è trovato con due appelli nella stessa giornata, a venti minuti l’uno dall’altro. Il qualcuno in questione ha pensato, furbescamente, di evitare il problema presentandosi con largo anticipo al primo esame, certo di aver trovato una scappatoia infallibile. Arrivato quella mattina ai benedettini, il qualcuno-femmina-matricola-redattore-di-Step1 ha attraversato il cortile correndo, e ha iniziato la disperata ricerca della stanzetta della professoressa, con un occhio sempre attento all’orologio. Quando ha capito che stava andando nella direzione giusta? Quando s’è accorta di non essere la sola a camminare con passo svelto e l’aria spaurita, quando ha scorto, nelle mani degli altri maratoneti, libretti, verbaloni e carte d’identità, e quando la sua strada è stata bloccata da uno sciame di studenti impazziti che s’accalcavano sulla porta di quello che, evidentemente, era il minuscolo ufficio dell’esaminatrice.

La matricola, dopo quasi un’ora d’attesa, ha mollato la presa, conscia di avere soltanto cinque minuti per precipitarsi nell’aula dove avrebbe dovuto sostenere un altro esame. Grazie ad una qualche imprecisata distorsione spazio-temporale, ad uno Stargate che ha deciso di aprirlesi davanti in un momento di estrema necessità, la nostra temeraria eroina è riuscita a non arrivare in ritardo. Ha elemosinato un posticino a sedere e ha aspettato per venti minuti che la seconda professoressa si facesse viva.

In un idioma sconosciuto, la Teacher spiegava come svolgere il test e precisava che, in un’ora, non sarebbe stato difficile completarlo.

Alla matricola è bastato un quarto del tempo previsto per completare il test e consegnarlo all’attonita Teacher che, con sguardo stralunato, le domandava se fosse assolutamente sicura di non aver bisogno, almeno, di rileggere.

«Non ho tempo, c’ho un altro esame…», s’è giustificata la gentil donzella, fuggendo nuovamente verso i lidi poco prima abbandonati, dove colleghi un po’ avvoltoi un po’ amici dell’ultim’ora s’interrogavano a vicenda.

Hai studiato tanto? No, non abbastanza. Sì, troppo. Non sono uscita di casa per mesi. Cosa chiede, secondo te? Bè, non so. Spero non quel capitolo che non ho capito, e nemmeno quell’altro che ho letto stanotte. Già non mi ricordo niente. Ci siamo visti a lezione, vero? Qualche giorno fa, non ci siamo trovati vicini in biblioteca? La prossima materia? Ci organizziamo, e studiamo assieme. Okay.

E l’attesa si stempera. Almeno finché l’assistente della professoressa non fa capolino dalla porta della stanzetta per chiamare la prossima vittima, mentre l’esule liberato di fresco si allontana in fretta e furia, col libretto blu stretto tra le mani e la prima materia al sicuro tra le calde pareti di una carriera universitaria appena iniziata.


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