Breve escursione nel De André più divertente
Lumorismo di De André
«Lo sa che io ho perduto due figli
Signora, lei è una donna piuttosto distratta».
Chi riesce a scrivere due versi del genere devessere necessariamente un grande umorista; e invece di Fabrizio De André si ha, di solito, unimmagine diversa: melodrammatica (fin dagli inizi con Geordie, fino alla fine con Princesa) o tragica (pensiamo ai suoi eroi maggiori, da Miche a Piero a Marinella) o addirittura funerea (anche qui lelenco sarebbe lungo: dalla Ballata dellamore cieco a Fila la lana, da Preghiera in gennaio a La morte alla Ballata degli impiccati: e stiamo comunque parlando di alcune tra le sue canzoni più belle!): per tacere di quellatroce tema della strage degli innocenti, ricorrente in tre capolavori come Via della Croce, Fiume Sand Creek e Khorakhané
Proviamo, dunque, a capovolgere questimmagine mortuaria, e non solo pensando a una canzone di scatenata comicità come Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (È mai possibile oh porco di un cane / che le avventure in codesto reame / debban risolversi tutte con grandi puttane / Anche sul prezzo c’è poi da ridire, / ben mi ricordo che pria di partire / v’eran tariffe inferiori alle tremila lire), i cui meriti comici, superficialmente, si potrebbero ascrivere al coautore Paolo Villaggio; ma piuttosto pensando ad altre canzoni non casualmente di argomento ancora mortuario, che però vien capovolto in riso o sorriso con piacevolissima scioltezza: penso alla prima parte del Testamento (Per quella candida vecchia contessa / che non si muove più dal mio letto / per estirparmi l’insana promessa / di riservarle i miei numeri al lotto / non vedo l’ora di andar fra i dannati / per riferirglieli tutti sbagliati), che però è ispirata a Brassens, come la straordinaria Il gorilla (Se qualcuno di voi dovesse / costretto con le spalle al muro / violare un giudice od una vecchia / della sua scelta sarei sicuro / ma si dà il caso che il gorilla / considerato un grandioso fusto / da chi l’ha provato però non brilla / né per lo spirito né per il gusto).
Ma non è assolutamente possibile sostenere che De Andrè ci fa sorridere o ridere solo quando scrive in collaborazione con altri o derivando i suoi testi da testi altrui. Lo dimostrano già i due versi citati allinizio, prelevati da una canzone tutta sua, e bellissima, come Amico fragile.
Se non bastassero, pensiamo alla memorabile satira civile di Don Raffae (Un galantuomo che tiene sei figli / ha chiesto una casa e ci danno consigli / mentre o’ assessore, che Dio lo perdoni, / ndrento a ‘e roulotte ci alleva i visoni, dove le roulottes ritengo siano quelle donate ai terremotati dellIrpinia e di cui lassessore sè impadronito, mentre lallevamento dei visoni fu una delle tante fonti di promesso guadagno immediato, come lallevamento degli struzzi, che illusero tanti italiani, una ventina danni orsono); o a quella straordinaria prova di plurilinguismo e pluristilismo che è Ottocento, forse uno dei brani di De André più sottovalutati in assoluto e che invece è unallegoria efficacissima di una mutazione culturale, indotta nel costume italiano dal secondo boom economico, negli anni Ottanta: Figlio bello e audace / bronzo di Versace / figlio sempre più capace / di giocare in borsa / di stuprare in corsa e tu / moglie dalle larghe maglie / dalle molte voglie / esperta di anticaglie / scatole d’argento ti regalerò (chi era bambino negli anni Ottanta non può ricordare lautentica mania collettiva per il ritrovamenteo dei bronzi di Riace: e non può dunque apprezzare la deflagrante genialità del sintagma bronzo di Versace, collocato a sorpresa proprio quando lascoltatore si aspetterebbe, in rima difficile con audace, naturalmente bronzo di Riace: e invece spunta il nome di Versace, figura nientaffatto atletica ma vero simbolo dello pseudo neorinascimento italiano fondato sul made in Italy di craxiana memoria. E non escluderei che da questa canzone Antonio Albanese abbia ricavato una delle sue macchiette più significative, quella dellindustriale Perego che ha un figlio drogato e incapace. Ricordiamo, infatti, quel che scrive, ancora, De André: Figlio figlio / povero figlio / eri bello bianco e vermiglio / quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio / figlio figlio / unico sbaglio / annegato come un coniglio / per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio / a me, a me / che ti trattavo come un figlio / povero me, domani andrà meglio).
Insomma, lumorismo di De André sannida nelle canzoni più serie o addirittura strazianti, vestendo quasi sempre i panni della satira o dellironia e spesso scavando nelle pieghe del linguaggio corrente, alla ricerca dei più vieti luoghi comuni linguistici che però sono rivelatori di un atteggiamento culturale, di unesclusione o di un disprezzo sanciti dallinconscio collettivo e che il linguaggio fa affiorare: si rileggano certi versi di Quello che non ho (Quello che non ho è un orologio avanti / per correre più in fretta e avervi più distanti / quello che non ho è un treno arrugginito / che mi riporti indietro da dove sono partito) o di Se ti tagliassero a pezzetti (T’ho incrociata alla stazione / che inseguivi il tuo profumo / presa in trappola da un tailleur grigio fumo) o di Coda di lupo (Poi tornammo in Brianza per l’apertura della caccia al bisonte / ci fecero l’esame dell’alito e delle urine / ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso / – Per la caccia al bisonte – disse – il numero è chiuso).
Si pensi, infine, alla capacità di improvvisare variazioni su testi pre-esistenti, dettate magari dallattualità politica: come quando, in unesecuzione live dei primi anni Ottanta, una strofe dellallegoricissima e dylaniana Via della povertà diventava densa di irriverenti riferimenti attuali: Ci si prepara per la grande festa / c’è qualcuno che comincia ad aver sete / Woityla ha gettato la tiara / si è travestito in abiti da prete / sta ingozzando a viva forza Berlinguer / per punirlo della sua frugalità / lo ucciderà parlandogli d’amore / dopo averlo avvelenato di pietà / e mentre Woityla grida / 4 suore si son spogliate già / / Berlinguer sta per essere violentato / in via della Povertà.
In un modo o in un altro, insomma, mi pare che De André, sia riuscito anche con larma del sorriso a «consegnare alla morte una goccia di splendore».