Con le braccia allargate è corsa incontro alla madre e le è saltata con le braccia attorno al collo. Un abbraccio che anche la mamma ha ricambiato. Sono le ultime immagini, registrate intorno alle 13 all’asilo Hakuna Matata di Tremestieri Etneo, di Elena Del Pozzo. La bambina che a metà luglio avrebbe compiuto cinque anni ma che è stata uccisa con diversi colpi di coltello dalla madre 23enne Martina Patti che, prima di confessare e di essere fermata con l’accusa di omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere, ha inscenato un rapimento da parte di un commando di quattro uomini armati e incappucciati. «La Martina che abbiamo sentito raccontare in questi giorni non è quella che abbiamo conosciuto noi», racconta a MeridioNews Veronica Piazza, la maestra e responsabile dell’asilo frequentato da Elena. «Era socievole, solare, affettuosa, gioiosa, serena e ordinata; una bambina fantastica e piena di vitalità – continua l’educatrice – Non è mai arrivata triste in classe e non ha mai fatto racconti strani. Non c’erano segnali di un disagio della bambina nemmeno nei suoi disegni o nei suoi comportamenti. Anche l’ultima è stata una giornata normale – sottolinea – durante la quale ci ha anche raccontato di avere dormito a casa dei nonni paterni la sera precedente».
Un’organizzazione di genitori separati che prevedeva una sorta di alternanza per accompagnare e andare a riprendere la bimba all’asilo. Per le maestre di Elena, quello che è accaduto «era insospettabile. Fino alla domenica pomeriggio (il giorno prima dell’infanticidio, ndr) la mamma mi ha mandato dei messaggi audio – ricostruisce Piazza – in cui, in modo molto sereno, mi ha dato appuntamento per l’indomani scusandosi per il fatto che Elena fosse stata assente all’incontro con tutti i bambini per festeggiare la chiusura dell’anno scolastico. Mi ha anche spiegato che purtroppo non erano riusciti a organizzarsi per accompagnare la bambina».
Quell’ultimo giorno di asilo, come sempre, Elena è corsa tra le braccia della mamma e prima di andare via ha salutato con la mano i compagnetti di classe e le maestre. «Non abbiamo ancora trovato la forza e il coraggio di dirlo a loro – spiega l’educatrice – Dobbiamo accettarlo noi per prime e, solo dopo avere realizzato questa cosa inaccettabile, potremmo raccontare agli altri bambini qualcosa su dov’è adesso Elena. Per fortuna – aggiunge Piazza – sono piccoli (tutti tra i quattro e i cinque anni, ndr) e non hanno i social».
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