L'annuncio dal Comune era arrivato lo scorso 18 aprile. Ma con un iter non convenzionale. «Non ci hanno contatti né prima né dopo», spiega Santina Schepis, del club Unesco di Messina. Che aggiunge: «La candidatura, se accettata, porta con sé obblighi di tutela del mare e della costa per cui le istituzioni non mi sembrano pronte
Lo Stretto candidato a patrimonio Unesco Il club locale: «Ma servono attenzione e tutela»
Lo Stretto di Messina patrimonio dell’umanità Unesco significherebbe rivedere il trasporto marittimo – compreso il traghettamento -, il traffico dei tir, l’edilizia, i criteri di salvaguardia ambientale e paesaggistica. Significherebbe anche garantire l’osservanza di regole alle quali le sponde siciliana e calabrese non sembrano al momento pronte. Ne è, suo malgrado, convinta Santina Schepis, presidente del club Unesco siciliano di Messina – fondato nel 1971 dal giornalista Carmelo Garofalo – che non è stato consultato dal Comune al momento di portare avanti il proprio progetto, presentato in pompa magna lo scorso 18 aprile. A scanso di equivoci, secondo Schepis lo Stretto – che lei preferisce chiamare «di Scilla e Cariddi», per non venir meno all’altra sponda – possiede tutte le caratteristiche per accedree alla prestigiosa lista dei beni patrimonio dell’umanità. «Ha un patrimonio naturale unico – spiega – con una flora e una fauna particolari, come nel caso delle alghe e del pesce azzurro che vi nidifica in certi periodi dell’anno. Caratteristiche sono anche le sue correnti marine e le acque con la loro salinità. Può vantare anche autorevoli testimonianze letterarie, come l’Odissea di Omero».
Ad essere contestato è invece l’iter seguito da palazzo Zanca. «Serve una valutazione a seguito di una candidatura che risponda a determinate caratteristiche stabilite dalla convenzione Unesco». In parallelo, è necessario rispettare certi passaggi. Il primo dovrebbe consistere nel consultare i club locali, che fanno capo alla Federazione italiana club centri Unesco, la cosiddetta Ficlu, fondata nel 1973, parte a sua volta della commissione italiana Unesco, organica al governo centrale. «L’errore del Comune – fa notare la presidente – è stato di partire in quarta, senza avvisare noi, né i club di Reggio Calabria e Palmi. Cosa che ha generato del risentimento da parte nostra». Dopo aver appreso la notizia, non sono bastate telefonate e email dal 2013 alla segreteria di Renato Accorinti. A stemperare le tensioni è stato uno degli esperti del primo cittadino, Marcello Mento. Che lo scorso anno «si è scusato con noi, impegnandosi a tenerci informati da lì in avanti». Impregno mantenuto per un po’, per poi «ripiombare nel più totale silenzio».
Perché l’iter possa proseguire, bisognerebbe procedere pure a una consultazione popolare. «Dopo di che si prepara un dossier sulle specificità del territorio, con le implicazioni storiche e culturali, e viene inviato alla commissione nazionale, presieduta dal palermitano Giovanni Puglisi, e successivamente a quella mondiale, che ha comunque l’ultima parola. A prescindere da quanto stabilito nei precedenti passaggi». L’ottenimento della tutela ha, in ogni caso, un prezzo da pagare. «La candidatura deve contenere le azioni di tutela, salvaguardia, protezione e promozione, che si intendono condurre. Azioni che, una volta entrati nella lista del patrimonio umano, occorre concretamente attuare». Schepis pensa, per esempio, alla promozione della pesca che, in certi periodi dell’anno, andrebbe vietata per salvaguardare le specie autoctone. «Ancora, vanno salvaguardati il mare, le coste, che devono essere ulteriormente attrezzate, abbellite. Bisogna salvaguardare le alghe, il paesaggio. Le due sponde dello Stretto sono capaci di realizzare tutto questo?». La risposta che Schepis si dà è negativa, pensando ad esempio alle petroliere. «Nemmeno il Ponte sarebbe accettabile perché distruggerebbe l’ambiente», continua la presidente.
In altre parole, ogni attività andrebbe regolamentata: «Noi dovremmo diventare sentinelle capaci di ripristinare rapidamente l’ambiente dopo ogni inconveniente. Ma non so se siamo all’altezza di questo compito. Al momento di presentare la candidatura, si deve essere in grado di quantificare i danni prodotti dalle varie attività, individuando le misure per limitarli». Come nel caso del traghettamento, della cementificazione e dell’abusivismo edilizio. «Lipari ha rischiato di perdere la tutela e la denominazione, con le relative opportunità, per via di un lotto di villette in costruzione che non rispettavano i canoni – conclude Schepis – E per questo ha avuto problemi con la commissione di controllo che vigila sul costante rispetto della convenzione».