Lo Statuto siciliano salvi le imprese locali dalla follia dell’Irap

Da Giuseppe Pizzino, presidente del Movimento ‘Progetto Sicilia’ (fautore di un programma politico-economico che prevede un sistema monetario complementare per l’Isola e l’emissione di Sicily bond, ve ne abbiamo parlato qui)  riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione su temi di scottante attualità: l’applicazione delle norme tributarie e finanziarie dello Statuto siciliano (temi riportati in auge dal Presidente della Regione, Rosario Crocetta) e il tragico destino subito dalle imprese siciliane. Pizzino, come si ricorderà, è un noto imprenditore del settore tessile (ricordate le felpe con su scritto SICILY?) e dall ‘interno dell’unverso imprenditoriale siciliano punta il dito contro alcune storture del sistema Sicilia: prima fra tutte l’IRAP e i suoi meccanismi di pagamento. Intanto premette Pizzino, bisogna lottare per l’applicazione integrale dello Statuto, non solo per l’articolo 37, e interpretarlo correttamente, a partire dalla necessità di creare un ambiente favorevole alle imprese siciliane… : 

 

“L’ignoranza fa più male della cattiveria”, così una trasmissione della Radio Rai apre il suo programma. E’ proprio vero, sono proprio tanti i mali causati dall’ignoranza. Gli effetti si avvertono per decenni, sono destinati a durare e fanno proseliti. Non sono bastati i primi, no, bisognava che anche l’ultimo chiedesse la tessera di adesione, anche lui, nel nome della ritrovata voglia di Autonomia e di strenua difesa delle prerogative dello Statuto Speciale della Regione Siciliana. Leggono uno studio elaborato da qualche Professorone in cerca di incarichi e subito chiedono l’applicazione dello Statuto ma, badate bene, non di tutto lo Statuto, solo degli articoli 37 e 38, pensati dai Padri Costituenti (non ruffiani) quali norme compensative e non come forme assistenziali, ignorando le potenzialità di articoli che invece avevano un solo obiettivo: l’interesse della Sicilia e il benessere del Popolo Siciliano.

Così, gli articoli in questione restano di attualità, diventano i punti centrali di un programma di Governo, bandiere agitate in campagna elettorale, punti di convergenza con le forze sicilianiste, creando contenziosi mai definiti ed alibi preventivi per una depauperante amministrazione. I giovani in cerca di lavoro, che non trovano, indottrinati ad arte, ora rivendicano i benefici, il maltolto, della mancata applicazione di questi articoli, sognando le comodità ipotizzate dalla loro applicazione.

L’ignoranza, aggiungo il populismo, fa più male della cattiveria. Emuli dei predecessori, magari forti del risultato elettorale conseguito, frutto della demagogia, con il cappello in mano, busseranno a Roma per elemosinare una sorta di transizione, qualche spicciolo, per tirare a campare in nome della mancata applicazione del 37 e 38, maledetto sia in eterno chi continua a strumentalizzare l’ignoranza e il bisogno del popolo siciliano, basta, dovete smetterla.

Siamo riusciti anche in questa campagna elettorale a trasmettere ai nostri giovani il diritto all’assistenzialismo. Eppure del Titolo V “Patrimonio e Finanza” dello Statuto fanno parte, in particolare, il comma 1 dell’articolo 36 e il 41, che non sono mai stati applicati per come sono stati emanati o mai applicati. Le potenzialità creative di questi due articoli sono inesplorate, proprio il comma 1 del 36, finora è stato letto, commentato, dibattuto, applicato nel senso opposto a quello per cui è stato Istituito. L’applicazione nel senso corretto per cui era stato pensato, i cui effetti positivi e propositivi che innescherebbe sono innumerevoli, esclude proprio il ricorso all’articolo 37. Rileggiamolo, “Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima”.

Questo scritto di solo 21 parole, come formulato, è pari a un’opera di Michelangelo, da restare senza fiato. Solo un ignorante non riesce ad apprezzare la bellezza di questa opera d’arte, che esprime esattamente l’opposto di quanto finora ci hanno trasmesso critici e visitatori abituali. Questo articolo è stato Istituito proprio perché i tributi, per il fabbisogno finanziario della Regione, fossero deliberati in modo tale da attrarre e non respingere la costituzione della sede sociale in Sicilia, delle “ imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti ”.

In pratica, avevano già pensato, il 15 maggio del 1946, alla Sicilia come a un vero porto franco al centro del Mediterraneo! Altro che Cayman… Che ignoranti, che vergogna, quanto autolesionismo. Invece, i nostri governanti, imbeccati dai tanti soloni di cui amano circondarsi, hanno pensato che l’articolo 36 doveva essere interpretato nella facoltà di poter aumentare i tributi nell’Isola e così hanno fatto, determinando un processo di desertificazione* produttiva che, solo nell’ultimo lustro, ha causato la perdita del posto di lavoro a oltre trecentomila lavoratori, cui si aggiungeranno altri centomila nei prossimi anni fino al completo disastro economico sociale.

Basti pensare all’Irap, imposta regionale che in Sicilia è la più alta in assoluto, le addizionali Irpef come sopra, che in combinato disposto con il maggior costo del denaro, la cui competenza riguarda l’articolo 41, cui parleremo in seguito, obbligano e impongono per Legge, che tutte le imprese falliscano o si trasferiscano dalla Sicilia. Le imprese sane, oneste, con bilanci in pareggio, che assumono e danno lavoro ai giovani disoccupati, ma hanno sede in Sicilia, falliscono per effetto delle Leggi Regionali deliberate dai nostri amministratori in senso opposto allo spirito dello Statuto Speciale della Regione Siciliana.

Se invece l’articolo 36 fosse applicato nel modo in cui è stato istituito, oggi, in Sicilia le Camere di Commercio sarebbero costrette a fare il doppio turno di lavoro per soddisfare le richieste di iscrizione di nuove imprese e non per registrare la liquidazione, cessazione o il fallimento, alla faccia dell’articolo 37 e di chi ne enfatizza la sua rivendicazione.

La parola desertificazione vuole significare che è in atto un processo che porta, oggi, al fallimento, per effetto di una Legge Regionale, tutte le attività produttive presenti in Sicilia. Spieghiamo: ipotizziamo che tre giovani di eccelse qualità morali e intellettuali, dopo aver completato gli studi con il massimo dei voti, a seguito di un dottorato di ricerca inventano un prodotto siciliano che, a seguito attente analisi di mercato, incontrerebbe il favore dei consumatori.

Decidono, quindi, di intraprendere, insieme, un percorso imprenditoriale. Dopo aver elaborato un business plan che prevede costi per investimenti per € 1,5 milioni e finanziamenti bancari per € 1,2 milioni relativi alle necessità di finanziare la produzione e la commercializzazione, decidono di chiedere ai loro genitori un prestito di € 500 mila ciascuno per intraprendere l’attività e parallelamente chiedono alle banche di sostenere le necessità di cassa con un credito complessivo di € 1,2 milioni.

I genitori soddisfano le richieste dei figli attraverso un mutuo sui loro immobili e consegnano ai figli le somme necessarie per la costituzione del capitale sociale della costituenda società. Le banche allo stesso modo erogano finanziamenti per quanto richiesto, considerate le prerogative imprenditoriali dei soci, dei garanti, e della società, soddisfano le necessità imprenditoriali che rappresentano il massimo concedibile da parte del sistema bancario. Condizioni di eccellenza assoluta. I clienti sono i migliori sul mercato, pagano puntualmente, nessun contenzioso, l’azienda inoltre rispetta tutte le norme salariali, tributarie e qualitative, il meglio.

Questa società ricava dalle vendite dei prodotti siciliani € 4 milioni, occupa n° 80 dipendenti che per un costo medio di € 25.000 significa un costo totale del personale di circa due milioni di euro. Questa società, quindi, è la migliore impresa in Sicilia e opera nelle migliori condizioni di mercato, contestualizzata al momento di congiuntura corrente. Ebbene questa società nata nell’anno 2010 fallisce per effetto di una Legge Regionale nel 2013, per Legge. La Legge Regionale, IRAP, vuole che questa società dichiari il proprio fallimento al terzo anno di attività, e come vuole la Legge Regionale sull’IRAP, i soci rispettosi della Legge dichiarano il fallimento.

Perché siano obbligati al fallimento per effetto della Legge Regionale è molto semplice: la società, nata nel 2010, riesce sebbene la giovane età e il momento di recessione a chiudere i propri bilanci in pareggio per ben tre anni consecutivi, praticamente un miracolo. Ebbene, a giugno del 2011, il consulente della società rappresenta all’amministratore l’obbligo di pagare l’IRAP nella misura di € 110.000 pari al 5,5% di quanto è l’incidenza del costo del personale, che prima avevamo conteggiato in € due milioni.

L’amministratore va in banca che, seppur contrariata, concede una nuova linea di affidamento elevando l’esposizione creditizia verso la società da € 1.2 milioni concessi in precedenza a € 1.310 per effetto del pagamento dei tributi regionali. A novembre sempre del 2011, il consulente riconvoca l’amministratore rappresentando la necessità di pagare l’anticipo Irap per il 2012, pari al 99% di quanto già versato in giugno. Stessa trafila in banca dopo non poche discussioni la banca eleva l’esposizione da € 1.310 a € 1.420. Nel giugno 2012 stesso discorso, la società è tenuta a versare € 110.000 che aggiungendosi ai precedenti € 1.420 espone la società verso il sistema bancario per un importo complessivo di € 1.530.

La banca pur concedendo ulteriore credito avverte gli amministratori che, in virtù degli accordi di Basilea 2, che limitano il credito delle banche verso le imprese a un importo che non ecceda quanto i soci hanno versato quale capitale sociale, non sarà più possibile concedere altri finanziamenti. Nel 2013, la società attraverso il proprio amministratore e come previsto dalla Legge Regionale sull’IRAP dichiara il fallimento della società stessa. Se non fallisce è preoccupante perché significa che in un modo o nell’altro non rispetta la Legge!”.

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