Lo spaccio a San Leone e la gestione di Banana Così Ruscica salta dai Cursoti al clan Cappello

Casa Ruscica è trafficata. Tra gli incroci di San Leone, nel quartiere incastrato tra il viale Mario Rapisardi e il corso Indipendenza, dove abitano i componenti della famiglia lo sanno tutti. Il 22 gennaio 2017, secondo gli investigatori, è nell’abitazione di Carmelo Ruscica, alias Bananedda, che si è siglato l’accordo tra i Cappello-Caratteddi e i Cursoti milanesi. Il patto delle bandiere per dividere tra i due clan le aree di pertinenza dello spaccio a San Berillo nuovo: bandiera degli Usa i Cappello, del Milan i Cursoti. Il luogo dell’appuntamento che chiude le ostilità si trova nei dettagli dell’operazione Tricolore, che ha portato alla notifica di un’ordinanza di custodia cautelare a quaranta persone. Tra le quali Carmelo Ruscica non figura. Lasciato fuori dall’inchiesta che, però, vede il suo appartamento protagonista.

A quell’incontro c’erano tutti: Lorenzo Cristian Monaco, Giuseppe La Placa (‘u sfregiatu), i fratelli Concetto e Simone Bonaccorsi e, ovviamente, Giuseppe Ruscica. Fratello maggiore del padrone di casa, per questo noto come Banana, senza diminutivo. Quel giorno deve segnare la fine delle ostilità tra i due gruppi criminali diversi e deve marcare la spartizione del territorio, al fine di evitare future rappresaglie. L’attenzione delle forze dell’ordine, a San Berillo nuovo, è sempre più intensa.

E la famiglia dei Ruscica, del resto, ormai a Catania la conoscono tutti: Carmelo è il papà e Giuseppe è lo zio del giovane Eugenio, 16enne scomparso in un tragico incidente in corso Duca d’Aosta. A pochi metri da casa l’impatto con un’auto in circostanze non chiare gli è stato fatale e per lui la famiglia intera ha organizzato un corteo funebre di popolo: a migliaia hanno riempito le strade del quartiere, nel pomeriggio del 3 novembre 2016, mentre la questura vietava le esequie in forma pubblica per motivi di sicurezza. L’accusa di essere parte dei Cursoti milanesi era già stata formulata dalle forze dell’ordine nei confronti di Carmelo e Giuseppe, arrestati entrambi la prima volta nel 2013.

Anni dopo, secondo l’inchiesta, Giuseppe passa dai Cursoti ai Cappello. Portando con sé il suo peso sociale nell’intero quartiere. Dice Sebastiano Sardo, cioè il pentito Iano occhiolino, che Banana era capace di smerciare, da casa sua, un chilo di cocaina al mese, intascando 50mila euro. Un’abilità che gli vale il rango di «luogotenente» del presunto capo, Lorenzo Cristian Monaco, e che lo porta spesso, come accertato dalle forze dell’ordine durante i periodi di osservazione che hanno portato al blitz di ieri, a contare mazzette di denaro contante.

Il ruolo di organizzatore di Banana, secondo gli investigatori, emerge anche da un’abitudine amorevole: il bacio sulle labbra per salutare Giuseppe La Placa. Un modo – «in termini di alta probabilità», scrive la procura – «per manifestare la comune appartenenza al clan». E per tutelare proprio il clan, nei giorni in cui esponenti di rango apicale della cosca si presentavano in corso Indipendenza per discutere di affari, veniva interrotto lo spaccio di droga. Non si muoveva una foglia, infatti, il 3 aprile 2018 quando, tra le case popolari di corso Indipendenza, si incontrano la moglie di Ignazio Bonaccorsi (fratello del pentito Concetto), Giuseppe Ruscica, Giuseppe La Placa, il presunto capo Lorenzo Cristian Monaco e i gemelli Fabio e Luca Santoro, arrestati nell’ambito del blitz Gorgoni e ritenuti tra i più stretti collaboratori di Massimiliano Salvo, ‘u carruzzeri, ritenuto dagli investigatori capo dell’ala armata del clan Cappello.


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