Live ’80: quando le foto parlano

Abito e opero, nel mondo della radio, a Trieste. Lo confesso: prima di conoscere STEP1 e lo speciale “Live ’80” non avevo mai sentito parlare di Francesco Virlinzi né, guardando le foto esposte a Catania nelle ex Cucine del Monastero dei Benedettini, ho ritrovato una qualche immagine già vista percaso e senza firma.. Guardando la mostra via web, confesso pure tre dispiaceri: che egli non abbia avuto da ben prima i pass che gli hanno poi permesso di immortalare da vicino l’immagine come la vedevano i suoi occhi (vedi le foto negli anni più recenti), che la mostra duri così poco tempo; il non poterla vedere dal vivo, pur se già nel web essa “tocca dentro”.

E se mi “tocca dentro” lo fa per due motivi ben precisi: la capacità di cogliere l’essenza ed il momento per porgerli agli occhi che poi vedranno le foto, al di là del risultato tecnico ed estetico (in più d’uno scatto veramente notevole) e quella di far rivivere fasi della storia d’alcuni artisti, che poi rimanda a quella personale; ed è altro dalla nostalgia.

Se tale risultato viene raggiunto è perché dentro il Francesco Virlinzi fotografo amore e passione viaggiavano a braccetto, producendo ciò che (parafrasando la frase di Springsteen) nessun compenso in denaro sarebbe mai stato in grado di produrre. E perché, anche grazie ad una tecnica fotografica in grado di astrarre il soggetto dal contesto, in virtù di un sapiente uso della (non) luce – una foto su tutte, quella di Natalie Merchant – riesce a far parlare le sue foto con il linguaggio più profondo: quello del silenzio.

Perciò il mio commento è un insieme di note, sensazioni e collegamenti che le immagini mi inducono. Immagini che mai ricorrono a effetti speciali per catturare l’attenzione.

Iniziare da Dylan, “il Picasso del rock”, è come parlare del sole. Facilissimo cadere nel trito e ritrito, quando non in una retorica patetica, ma quegli scatti sono testimonianza d’un artista più in pace con sé stesso allora di oggi, capace di sorridere imbracciando una chitarra elettrica, cosa oramai sempre più lontana e rara.

Una pace ed una capacità captate benissimo sul viso di Youssou’n’Dour che (prima di snaturare la propria musica per conquistare i mercati occidentali) nella foto della tappa italiana del Tour di Amnesty ci appare accanto a Peter Gabriel, duettando con lui qualche minuto dopo che, dicendo “…perché il futuro è nei vostri occhi “, l’artista inglese desse il via ad una torrenziale versione (più di 15 minuti) di ” In your eyes “, nel corso della quale i presenti sul palco (tranne il batterista, of course) si lasciarono andare a salti e danze, come ben risulta dall’altra immagine tratta da quel set.

Un set che faceva seguito a una timidissima Tracy Chapman che da sola, voce, chitarra e un enorme telo dietro il palco, aveva calamitato l’attenzione ed il silenzio d’uno stadio intero. Guardate gli occhi bassi, la timidezza che Francesco ha saputo fermare in uno scatto e quello sguardo, quella intensità che “parlano” nel secondo. Osservate come pari intensità sia impressa nella foto di Natalie Merchant accucciata a Parigi e come in un’altra sua immagine emerga una totale simbiosi col
microfono, a proporre, mentre in primo piano la sua mano chiede.

Rimanendo in tema di mani, andiamo allo sguardo di Jackson Browne, contornato dalle mani raccolte a pugno. Nulla manca: le dita che vibrano strette, il collo tirato e gli occhi che indicano un “oltre” o s’indignano, urlando contro ciò che umilia i “meno fortunati” in questi nostri anni. E’ là, in un’immagine, tutta l’essenza del cantautore statunitense.

Mani, mani, mani…forse sarebbe concorde con me Francesco Virlinzi quando penso che le mani parlino molto più di quanto sembri. Soffermatevi sulla sequenza dedicata al concerto londinese di Springsteen: null’altro che non siano le mani alzate. Chi ha assistito ad un concerto di Bruce sa cosa significano: lo stesso trasporto oggi come allora. E a fermarlo non basta l’istante fissato più avanti, mentre Weimberg, batterista della band, sta per sferrare il colpo che farà terminare il brano.

Proprio sulle immagini dedicate al musicista del New Jersey vale la pena di soffermarsi un istante di più. Per chi lo segue da anni esse procurano l’emozione della memoria. Fu quell’11 aprile 1981, nella tappa del ” The river Tour ” all’Hallenstadium di Zurigo, che molti italiani conobbero per la prima volta l’energia che Bruce contagiava dal palco. Vedendo la foto in cui Clemons lo incita e lui ha l’armonica in bocca sembra di sentire le note e la forza di “The promised land”.Una “terra promessa” ancora
impressa nella memoria degli 80.000 che a San Siro nell’85 componevano il coro durante la sua prima assoluta in Italia. L’istantanea in cui, sotto gli occhi del tastierista, gran parte dei componenti della band sono affiancati l’uno all’altro, accucciati prima di saltare, è un’icona: e non è un caso che Springsteen abbia poi inserito un’immagine similare nella realizzazione di “Tougher than the rest”, forse il suo più bel video.

Venendo alle foto realizzate in interni, quella di Joe Jackson soddisfatto non ha bisogno di commento alcuno, essa rimarca una volta di più la capacità del fotografo di saper “giocare” benissimo con le luci, di cogliere l’attimo, come con Costello ripiegato sulla sua chitarra o Metheny ” catturato ” dalla propria. Avete fatto caso a come nelle due foto dedicate al chitarrista statunitense vi sia la chitarra al centro? E a come i protagonisti siano lei e il braccio, le mani di Metheny (non credo sia un errore d’esecuzione la testa tagliata, ma una scelta per lasciare
il focus alla chitarra).

Termino questa breve rassegna dedicandola a due band. Anche se non va tralasciata quell’immagine d’un Prince reso rosso da un abile tecnico delle luci che gli pone al fianco dei triangoli di luce blu: bellissima, e con forza pari alla semplicità.

Londra, 1984: è il tour di “Unforgettable fire”. Gli U2 sono vicini al top creativo (non a caso poi sarebbe arrivato “The Joshua tree”). La forza e l’energia dei primi album sono immutate; Bono* è nella sua pianezza, prima di diventare la copia di sé stesso quale è oggi. Ebbene, guardate gli scatti con lui piegato verso il pubblico, o mentre canta davanti alle mani protese, con The Edge sullo sfondo. Guardate e avrete idea di com’era la band irlandese durante un concerto.

Dulcis in fundo: R.E.M. .

Al di là delle foto senza persona alcuna, prima d’un loro concerto; al di là delle loro immagini, quasi sperduti, durante la ripresa d’un video o sul palco durante un’ esibizione; al di là dell’espressione d’attesa (come di chi attende un risultato) e poi di soddisfazione (se il risultato è favorevole) in quel di Parigi, assieme ad una foto dove protagonista è la base del microfono…

Ma, al di là di tutto ciò, che dire del primo piano di Michael Stipe, seduto a terra, sfiorato e contornato da luce azzurra, mentre gli occhi non capisci dove sono. Se guardano un pianeta lontano o il nulla…che dire di quest’immagine ? Nulla. Correrei il rischio di sporcarla. Meglio, molto meglio, guardarla e basta. Possibilmente spegnendo le luci nella stanza e mettendo nello stereo “I’ve been high”.

Credo che a Francesco non spiacerebbe.


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