L’isolamento nello studentato Unipa ai tempi del Covid-19 «È la possibilità di restare con se stessi e conoscersi davvero»

«È un po’ come vivere dentro a una cella». A sentirlo, sembra quasi l’inizio di un racconto desolante e deprimente sulla vita in isolamento ai tempi del Covid-19. Specie se il racconto è quello di chi è rimasto a vivere dentro a uno studentato universitario. Ma quella frase di Emanuele Nasello, in realtà, è solo l’anteprima di un racconto pieno di positività e di spunti inaspettati. Fatti soprattutto di bellezza. Una cosa, forse, a cui il distanziamento sociale, l’isolamento e le paure ci hanno disabituato. Studente di Scienze politiche all’università di Palermo e rappresentante degli studenti, quando i decreti nazionali hanno cominciato a chiudere tutto il Paese, di tornare nella sua Gangi non se l’è sentita. E come lui, molti altri colleghi fuori sede. «Siamo rimasti bloccati qui, io e molti altri – racconta -. Un po’ per timore, un po’ per buon senso».

«Ho visto in televisione i rientri in massa di altri studenti come me, della mia generazione – dice -, ondate di ragazzi spostarsi dal nord per tornare giù, per tornare a casa. Ma vederli non ha innescato in me nessun sentimento di rabbia o di odio, ho capito che il primo istinto è quello di mettersi al riparo, di sentirsi al sicuro. Io e quelli rimasti qui abbiamo riflettuto molto su quelle scene e ci siamo detti che forse bisognava mettere da parte qualcosa e fare una scelta più saggia». All’inizio, quando si comincia a parlare di Coronavirus ma ancora in pochi hanno capito con che cosa si avrà a che fare per i prossimi mesi, le maglie sono ancora larghe e tornare, per molti, appare possibile. Chi a bordo di un’auto, chi invece approfittando di qualche mezzo pubblico. Uno spiraglio, però, di cui non tutti hanno voluto approfittare. Proprio come Emanuele. «Il rischio di trasformarmi in un vettore di contagio comunque c’era e non avevo la possibilità di andare da qualche parte a fare un isolamento completamente da solo, una volta rientrato a casa – spiega -. Insomma, circoscriverci e rimanere qui dove già eravamo a molti è sembrata la scelta migliore».

In fondo, hanno un tetto sopra la testa e pranzo e cena garantiti. L’Ersu, infatti, che ha messo il 95 per cento dei lavoratori in smart working, continua comunque a garantire i propri servizi. Mensa in primis: all’inizio ne sono rimaste aperte due, poi si è passati al take away e oggi infine c’è il take away con un solo prelievo giornaliero a pranzo, dove si ritira il pasto caldo da consumare al momento e contestualmente si ritira il cestino freddo per la sera. Nelle sei strutture con gli alloggi, di cui cinque col bagno in camera, ci sono circa un centinaio di studenti. «I luoghi comuni vengono puliti ogni giorno e gli addetti sono sempre ben forniti ed equipaggiati dei presidi necessari, mentre le camere le gestiamo noi». Di quei quasi cento ragazzi rimasti, 40-50 sono i siciliani fuori sede, mentre sono quasi una settantina gli studenti stranieri che sono rimasti qui. Per loro tornare a casa avrebbe infatti comportato non solo un viaggio più lungo ma anche più dispendioso, per fare ritorno in certi casi in abitazioni e contesti non ideali per affrontare un periodo tanto delicato.

«C’è chi viene dal Madagascar chi dalla Libia – torna a dire Emanuele -, non hanno le nostre stesse condizioni, sono persone che se ne vanno da case dove non c’è un reddito per niente elevato, non vengono qui farsi “l’esperienza”, loro qui costruiscono da zero la loro vita, un riscatto sociale in tutti i sensi». L’arrivo dell’emergenza, per i viali di Unipa, ha colto comunque tutti di sorpresa. «All’inizio eravamo molto spaesati,è stato un po’ uno shock. Di reazione ci siamo chiusi in camera, eravamo bombardati di informazioni e non sapevamo che passo fare, abbiamo deciso di rimanere fermi immobili sia perché c’era timore sia perché nello stesso tempo l’università comunque andava avanti – torna a dire -. Ora l’umore è molto più disteso, ci siamo organizzati, una volta a settimana un ragazzo per piano va a fare la spesa, abbiamo le mascherine, tutti qui si sono subito adeguati a tutte le disposizioni in maniera scrupolosa, prima non capitava che ci pulissimo le stanze ogni giorno, adesso funziona così, quindi questo è un miglioramento».

Tra una telefonata e l’altra a casa, le giornate di chi è rimasto allo studentato sono scandite soprattutto da video lezioni e tanto studio. «Studiare è rimasta l’unica cosa da fare, in un’altra situazione non avrei studiato così tanto – sorride Emanuele, mentre ci riflette -, ora stiamo facendo di necessità virtù. Uno degli aspetti più positivi sono proprio le lezioni in streaming, si possono seguire in qualunque momento ed è di certo molto comodo». La vita accademica, insomma, non si è mai veramente fermata, anzi. Si è intensificata tanto da riempire completamente le giornate di questi ragazzi. Ma quel deserto fuori dalle loro finestre fa, ogni volta, un certo effetto. «È una situazione insolita, questa. Qui siamo in quello che per moltissimi studenti è un vero e proprio punto di ritrovo, ma dall’essere il cuore dell’università siamo arrivati ora all’affacciarci e vedere il viale completamente deserto. In compenso dal giardino d’Orleans vediamo che la natura si sta riprendendo i suoi spazi ed è molto bello – racconta Emanuele -. Non ci saranno le persone che passeggiano nel viale, ma vedere passare un pavone non è cosa da tutti i giorni».

Tolta la mensa, dove si va una volta al giorno per prendere i pasti e una scappata al supermercato per qualche acquisto, la vita di Emanuele ruota tutta attorno al Santi Romano di viale delle Scienze. O meglio, attorno alla sua stanza: «La camera è praticamente una casa, io qui ci sto da cinque anni, è il mio rifugio ormai. Ora che non posso uscire, rifletto e apprezzo ancora di più questo luogo che mi accoglie da tanto tempo, ed è subentrato anche un sentimento di responsabilità – racconta -. Ma chiaramente c’è anche la nostalgia, domenica sarà Pasqua e normalmente sarei tornato a casa. Però la situazione è questa e ci siamo adattati tutti subito, senza perderci d’animo. Certo, ogni tanto ci incrociamo, sempre a distanza, per esempio per prendere i cestini del take away e le facce sono quello che sono. Ma la responsabilità deve prevalere, non c’è altro da fare, stiamo sviluppando molta pazienza, ci teniamo impegnati con le nostre attività accademiche».

Malgrado l’enorme voglia di riprendersi la sua vita, immaginare il ritorno alla normalità non è così semplice e immediato per Emanuele. «Il distanziamento sociale sta cambiando radicalmente le abitudini – dice -. Io non vedo l’ora di riprendermi la vita di prima, è bello poter far tutto, sentirsi liberi, ma non so come sarà, non riesco a immaginarlo, so soltanto che lo desidero tanto. Ma non posso non pensare che ci saranno per forza dei forti cambiamenti, per tutti. Spero che saranno solo in positivo, spero che le persone chiuse in casa non diventino irascibili, vorrei che tutto questo ci renda al contrario tutti più sensibili, più attenti a cose che prima nemmeno notavamo. Però penso anche che siamo egoisti per natura, purtroppo, quindi non mi aspetto esattamente grandi rivoluzioni. Ma almeno qualche strascico positivo, non può finire tutto così o peggio, sarebbe un disastro a livello sociale».

Dal canto suo, forse, Emanuele un po’ cambiato si sente già. «Se dovessi racchiudere questo periodo in una sola parola, forse direi “riflessione“. Su che cosa? Su di me, tanto per cominciare. Su cose che prima nemmeno notavo – rivela -. Questo restare isolati è una bella prova per chiunque, specie per chi come me e gli altri studenti la affronta da fuori sede, lontano da casa, ma sto cercando di prenderne solo gli aspetti positivi. Penso che tutte queste costrizioni e questa solitudine possano darci la possibilità di conoscerci davvero, di renderci conto che le cose materiali non sono poi così indispensabili. Lo sono invece le persone, le relazioni, i rapporti. Quelli che dovremo riprenderci e in meglio una volta usciti da queste mura. Riflessione, insomma, è sicuramente l’aspetto che sta caratterizzando il mio isolamento qui. Ma, lo ammetto, ogni tanto anche un po’ di sclero», scherza ancora Emanule, con quel suo ottimismo che nessun isolamento o distanziamento sociale riesce a scalfire.


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