L’intervista del figlio di Riina a Porta a Porta Ciancimino: «Sei codardo come tuo papà»

«Non ho mai fatto un’intervista senza firmare prima la liberatoria». Ad aggiungersi al coro di critiche seguito alla presenza di Salvatore Riina jr a Porta a Porta è Massimo Ciancimino. Il figlio di don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo che nel ’92 sarebbe stato anello di congiunzione tra lo Stato e Cosa nostra nella trattativa per interrompere le stragi, ha scritto un pesante commento su Facebook, nella pagina in cui il figlio del capo dei capi promuove il proprio libro. «Sono anche io figlio di un mafioso corleonese – ha scritto Ciancimino, poco prima che il messaggio venisse rimosso – a differenza tua mi sono vergognato, sono fiero di avere fatto catturare quell’animale di tuo padre». L’attacco è poi proseguito con un riferimento al rifiuto di Riina di confrontarsi all’interno del processo sulla trattativa: «Sei codardo come tuo papà, lo conosco. Un pupazzo criminale. Se avesse le palle accetterebbe un confronto con me», ha aggiunto.

Le parole di Riina nello studio di Vespa sono state per Ciancimino l’occasione per tornare a ribadire la presa di distanze dal proprio passato. Senza tuttavia rimanere immune alle critiche da parte dell’opinione pubblica e all’attenzione della magistratura, con tanto di indagini e rinvii a giudizio: «Dalla visibilità mediatica io non ci ho guadagnato nulla, anzi ne sono uscito massacrato – dichiara a MeridioNews -. Fossi rimasto nell’ombra non avrei avuto tanti problemi». Riguardo, invece, alle vicende giudiziarie che lo vedono protagonista, Ciancimino tiene a sottolineare che sono storie nate «da mie dichiarazioni, avessi preferito il silenzio non ci sarebbero state». La scelta, però, è stata quella di aprire uno squarcio nell’omertà che a Palermo «ti fa campare meglio» senza però puntare a ritagliarsi un ruolo nell’antimafia: «L’antimafia è diventata un parolone. Io cerco di avere un ruolo nella società civile – aggiunge -. Bisognerebbe far sì che sia normale rispondere ai magistrati senza essere considerati testimoni di giustizia».  

Tornando all’intervista di Vespa e richiamando il racconto di Riina jr secondo il quale il giorno dell’attentato di Capaci – in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta – si trovava in una sala giochi insieme agli amici, Ciancimino ricorda che le settimane successive lo videro protagonista diretto della trattativa. «Il giorno della strage di via D’Amelio ero a Fregene, a Roma – racconta -. Fui chiamato da mio padre, che mi intimò di tornare subito. Di presenza, poi, mi disse che l’omicidio di Borsellino era anche colpa mia e dei carabinieri perché si era trattato con Riina». Scelta che don Vito aveva osteggiato: «Mio padre non era d’accordo, per lui Riina andava eliminato. Catturato subito e consegnato». E sulle richieste che il capo dei capi avrebbe fatto allo Stato per fermare le stragi, definite «inaccettabili» dal padre, Ciancimino conclude con un paragone: «Diceva che era come se uno vuole vendere una bicicletta e poi chiede diecimila euro. Di fatto non la vuole vendere».


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