Nell'elenco delle nuove eccellenze culinarie premiate dalla guida più famosa a livello internazionale entrano due giovanissimi siciliani. Tra loro anche il 31enne Giovanni Santoro. Che propone i suoi piatti allo Shalai resort del Comune etneo. «Il mio lavoro è legato alla memoria», dice
Linguaglossa, a un ristorante etneo la stella Michelin Lo chef Santoro: «Cucina legata al ricordo di nonna»
«Questo premio è un punto di partenza, non di arrivo». Fa professione di umiltà lo chef Giovanni Santoro, 31 anni, a poche ore dal conferimento del premio Michelin a Milano: «Che posso dirne? È il riconoscimento di tanti anni di lavoro e sacrificio, di un tipo di cucina sempre indipendente e lontana da qualsiasi imposizione della moda». Giovanni comincia prestissimo, quando andava ancora a scuola e lavorava in cucina nei giorni festivi. «Ho lavorato in diverse regioni e poi ho deciso di tornare alle origini, in Sicilia, dove sette anni fa è arrivata la prima esperienza importante con i Pennisi (Leo e Luciano, ndr), allo Shalai resort di Linguaglossa. Qui ho avuto subito occasione di offrire la mia idea di cucina, che consiste nel presentare piatti storici, tradizionali, rivisitati in chiave moderna». Una chiave vincente, che è valsa a lui e al suo ristorante la celeberrima stella, certificazione di qualità.
Uno stile culinario, che condivide con la più giovane collega messinese Martina Caruso (anche lei nuova nel firmamento Michelin), sembra muovere in parallelo con la tendenza architettonica della struttura alberghiera – lo Shalai – eretta sul versante nord-est dell’Etna: il palazzo ottocentesco firmato da Paola Mariotto e Lucia Papa, definito uno «spazio non convenzionale dove il calore antico contamina il gusto contemporaneo, con uno spirito domestico che rende unica e originale ogni singola scelta». Cucina e architettura che dialogano, scambiando le rispettive suggestioni e offrendole ai propri ospiti.
«I miei sono piatti legati alla memoria, al ricordo di un sapore tipico della cucina della nonna. Mi tengo legato alla stagionalità dei prodotti, ogni tre mesi cambiamo il nostro menù. Cerco di proporre sempre qualcosa di nuovo, evito di servire un piatto che c’era l’anno precedente. La mia cucina è sempre in evoluzione». È la fiducia la cifra del lavoro dello chef: «Gioisco quando i clienti ordinano il menu “Fai tu”, è il massimo apprezzamento nei confronti del mio lavoro ed è il segno che le persone credono in me. In questi casi servo un misto di carne e pesce, variando nel corso di una stessa cena dai sapori leggeri equilibrati a quelli più robusti».