Radio Zammù ospita il noise dei Long Hair in Three Stage per un nuovo appuntamento di Slash Band. Gli ospiti di Sara e Johnny presentano in esclusiva il loro nuovo album Like a Fire In A Cave
L’indie dai capelli lunghi
I Long Hair in Three Stage vengono da Catania. Da quella Catania carica di energia e potenza, capace di sconvolgerti e tramortirti. La forza del vulcano che diventa musica, le dissonanze che diventano armonie e voci che diventano urla. I LHTS sono questo e tanto altro e in un martedì pomeriggio qualunque si raccontano su Slash Band attraverso le voci di Giuseppe Jacobacci e Fabio Corsaro.
Siete qui per presentare in esclusiva il vostro nuovo album ‘Like a Fire In A Cave’. È il titolo definitivo?
Jacobacci: Sì, lo è, nonostante sia la prima volta che qualcuno lo dica a parte noi del gruppo. Però possiamo annunciarlo come il titolo definitivo.
Possiamo parlarne allora. Qual è la sua gestazione?
Jacobacci: Guarda, questo è il posto migliore dove parlare del nostro nuovo lavoro, perché lo avevamo annunciato proprio l’ultima volta che eravamo venuti qui ospiti. Proprio tu ci avevi chiesto quali progetti avessimo per il futuro e ti avevamo risposto che il nostro sogno era registrare un live in studio. Ed è proprio quello che abbiamo fatto in una mattinata. Abbiamo realizzato un album che dovesse raccogliere le cose che amavamo di più. Erano molte e abbiamo dovuto fare una selezione.
Qual è la canzone che è venuta fuori con maggiore difficoltà tra tutte quelle comprese nell’album, se ce n’è una?
Corsaro: Quando abbiamo registrato l’album non abbiamo avuto dei particolari problemi. Eravamo tutti abbastanza reattivi.
Jacobacci: L’esecuzione non ha comportato problemi, questo è vero. A livello di composizione, invece, ‘Nightfall’ ha avuto una gestazione complessa. All’inizio è nata di getto, da un giro di basso di Roberto Risicato nato quasi per caso. Ciononostante, è una delle cose più belle che abbiamo mai fatto. La complessità è nata dopo, nell’affastellare molta roba su questo giro di basso ma soprattutto nel trovare un testo scritto che fosse all’altezza. ‘Evensong’ è stata invece difficile nelle scelta del missaggio. Avevamo due versioni, una molta esagerata e una normale. Alla fine abbiamo scelto quella esagerata.
In definitiva quanto tempo avete impiegato per l’intera realizzazione dell’album?
Jacobacci: Ci sono voluti quattro fine settimana. Come detto, l’album lo abbiamo registrato in una mattinata, dopo abbiamo compiuto tutti i naturali passaggi che si compiono per un album in studio. Quindi missaggi e le contro voci, che sono state aggiunte dopo.
Corsaro: Siamo anche stati molto fortunati per il lavoro indispensabile che ha svolto il nostro produttore, Marcello Caudullo, che ringraziamo.
Tutto il lavoro è stato interamente realizzato a Catania, prova del vostro impegno a sostegno della musica catanese.
Jacobacci: Noi abbiamo sempre creduto alla rinascita della musica catanese, sebbene il nostro impegno non sia superiore a quello di molti altri. Ci abbiamo sempre tenuto a suonare a Catania, perché facciamo parte della musica catanese e vogliamo fare da traino per tutti quei gruppi che riteniamo molto validi.
Questa discussione ci rimanda ad una annosa questione che mette a confronto Catania e Palermo. La prima caratterizzata da una superiorità tecnica che si scontra con il fervore giovanile del capoluogo siciliano. Voi cosa ne pensate?
Jacobacci: Io credo che la dualità tra le due città sia solo ed esclusivamente calcistica. In campo musicale, la Sicilia è una terra di sicuro riferimento senza distinzione tra città. È vero che Catania ha probabilmente raggiunto delle professionalità tecniche che a Palermo non ci sono. Gruppi come i Waines registrano proprio qui a Catania. Per quanto riguarda la fucina di band, invece, credo sia impossibile, data il numero di band esistenti, fare una classifica di confronto tra palermitane, ennesi o catanesi. È chiaro, però, che c’è molto fermento, che qualcosa bolle in pentola e prima o poi esploderà.
Per concludere l’argomento, avete deciso di aderire al progetto di Cesare Basile ‘L’arsenale’, che servirà ad unire, a fare rete tra tutte queste realtà.
Corsaro: Abbiamo deciso di aderire proprio perché speriamo che si possa creare un legame tra tutte queste band, sperando che possa nascere qualcosa di concreto.
Jacobacci: Proprio Cesare Basile ci tiene a dire che questo non è un suo progetto, ma che è aperto a qualsiasi band senza nessuna distinzione. Alla ricerca degli spazi dove si possa fare musica. Spazi che adesso non ci sono. Facendo rete, si ha la possibilità di scambiare i contatti per permettere a ciascuna band di suonare più di quella unica volta che capita ogni anno.
Qual è il vostro rapporto con l’arte in genere?
Il nostro è un rapporto molto forte, cerchiamo di aiutare alcune forma d’arte che sono più in difficoltà rispetto alla musica. È vero che per noi musicisti è difficile trovare una data, soprattutto se non ti sei già fatto un nome, ma per un pittore, ad esempio, è ancora più complesso. Quando abbiamo a disposizione degli spazi più ampi dove suonare, cerchiamo di colmarli dando possibilità a diversi artisti. È successo diverse volte, fin dal primo anno di attività, con una ballerina Butoh come Ornella Grech, che ha colorato con i suoi movimenti le nostre canzoni, per poi continuare con i pittori che hanno illustrato il libro ‘Cargo di Orchidee’ di Susan Musgrave. Quest’anno ci siamo fatti prestare gli occhi degli altri, di chi ci sta intorno. È un po’ una provocazione per spingere la gente a creare con noi perché c’è una gran sete di dar spazio agli sguardi.
Quali sono i vostri progetti per il futuro più immediato?
Un altro album. Abbiamo già tantissimo materiale, però prima dobbiamo dare un po’ di spazio a quello appena uscito. Ma, appena possibili faremo anche il fratellino.