«Abbiamo notato un grosso bagliore causato da un incendio nel mare al largo della costa licatese». Fiammate nelle acque in provincia di Agrigento che hanno preoccupato gli ambientalisti di diverse associazioni locali spingendoli a chiedere chiarimenti alle autorità competenti. Una spiegazione è arrivata dalla capitaneria di porto di Porto Empedocle ma, per gli attivisti, si tratta di una risposta «inquietante».
Notata questa luce intensa, gli attivisti hanno subito collegato che in quel tratto di mare ci sarebbero delle «prospezioni per la ricerca ed emunzione di idrocarburi nell’ambito del progetto Offshore Ibleo – Campi Gas Argo e Cassiopea – dove stava operando la nave Saipem 10.000». Motivo per cui, gli attivisti delle associazioni Mareamico, Marevivo, Centro consumatori, Legambiente e Wwf Sicilia area mediterranea hanno manifestato le loro preoccupazioni «sulla salute degli operatori a bordo delle unità navali impegnante in queste attività, ma anche per gli eventuali danni all’ecosistema marino e soprattutto – aggiungono – per i rischi per la popolazione che vive lungo una costa fortemente antropizzata come quella davanti al tratto di mare interessato da queste operazioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi».
Questioni a cui ha risposto la capitaneria di porto di Porto Empedocle. Una mail in cui la guardia costiera agrigentina ricorda che la società Enimed (Eni Mediterranea Idrocarburi) sta realizzando, tra le undici e le tredici miglia nautiche dalla costa, quattro pozzi nell’ambito del progetto Offshor Ibleo. Lavori che sono stati autorizzati dal ministero dello Sviluppo economico con i pareri positivi di tutti i soggetti interessati (Ispra, Direzione generale patrimonio naturalistico e mare del ministero dell’Ambiente). Nella risposta della capitaneria di porto alle associazioni si legge che, «secondo quanto riferito da Enimed, al termine di ogni singola perforazione, viene effettuata un’attività denominata “spurgo“». Un’operazione che servirebbe a valutare la capacità del giacimento in termini di presenza di gas. «L’attività – spiegano ancora dalla capitaneria di porto in un documento a firma del comandante Antonio Ventriglia – consiste in un’emissione controllata di gas naturale proveniente dal singolo giacimento con l’impiego di particolari apparecchiature installate a bordo della piattaforma».
Stando a quanto messo nero su bianco dalla guardia costiera, dunque, quella fiammata notata dagli ambientalisti al largo del mare di Licata sarebbe dovuta proprio a queste attività di spurgo, durante le quali «possono generarsi fiamme controllate, causate dalla combustione di gas naturale (metano) il cui calore viene mitigato – aggiungono – grazie all’utilizzo di acqua nebulizzata e al posizionamento sul lavoro di sopravento dell’unità navale». Dunque, secondo la capitaneria di porto, non ci sarebbe «nessun nocumento alla salute della popolazione». Per quanto riguarda l’ecosistema marino, dalla guardia costiera assicurano che «la società sta svolgendo i monitoraggi ambientali prescritti dal ministero dell’Ambiente». Risposte che, comunque, non hanno convinto gli ambientalisti: «Povero mare e poveri pesci di fondo cernie, dentici e gallinelle che – concludono dalle associazioni locali – finiranno arrosto nel loro stesso habitat».
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