Era il 29 agosto 1991. Sono passati trent’anni dall’uccisione per mano mafiosa
dell’imprenditore Libero Grassi, un’esecuzione che ha smascherato il molteplice silenzio e
isolamento nel quale si trovava. «Da allora sono stati fatti importanti passi avanti nella lotta al pizzo, che è la prima forma di controllo del
territorio esercitato dai clan mafiosi, e all’usura», commenta Nicola Grassi, il presidente dell’associazione antiestorsione di Catania (Asaec) intitolata proprio a Libero Grassi, che è stata una delle prime a nascere in Sicilia e la prima in provincia di Catania, proprio trent’anni fa. «Sono tante le associazioni antiracket nate per volontà di imprenditori che hanno combattuto i
loro aguzzini e che desideravano prestare il loro aiuto a chi a sua volta denunciava», dice il presidente di Asaec che «ancora oggi mantiene questo spirito: sensibilizzare e sostenere le vittime secondo i canoni
della volontarietà e della gratuità».
Innumerevoli, poi, sono state le leggi nazionali create a favore dei denuncianti (la l. 108/96
contro l’usura e la l.44/99 contro il racket, la l.512/99 e la l. 3/12 di riordino e così via), seguite
poi da quelle regionali (per la Sicilia la l.r. 20/99) e dagli svariati regolamenti comunali che
prevedono esenzioni tributarie per i commercianti che denunciano.
«Strumenti diversi – spiega Grassi – talvolta poco conosciuti, ma con un unico obiettivo: sostenere le vittime e
incentivare alla denuncia.
Armi potenti che hanno permesso alle vittime di trovare ristoro e ottenere un valido sostegno
processuale».
Purtroppo, però, il fenomeno è ancora lontano dall’essere sconfitto, complice una cultura della
rassegnazione, del quieto vivere, dell’omertà, nonché di una certa sfiducia verso la giustizia e
lo Stato. «E così lo stesso fenomeno si presenta sotto molteplici forme che, per una lotta
davvero efficace, è innanzitutto necessario saper cogliere. E allora – si chiede il presidente di Asaec – da dove ripartire? Sebbene questi strumenti legislativi rappresentino un caposaldo nel
complesso contrasto al racket e all’usura, necessitano di modifiche volte ad aggiornare la
disciplina, così da adattarla ai molteplici cambiamenti che il fenomeno va assumendo.
Sarebbe, inoltre, auspicabile – continua – una maggiore sinergia fra tutti gli attori del contrasto a racket e
usura: forze dell’ordine, magistratura, prefetture, amministrazioni comunali e associazioni
antiracket, di settore e sindacali, magari attraverso la promozione di momenti di incontro e la
condivisione di azioni comuni».
Una visione di sistema che potrebbe essere utile non solo a contrastare ma anche a prevenire il fenomeno. «Indispensabile, se non addirittura preliminare alla strategia di contrasto da adottare – sottolinea Grassi – è poi
indagare sul perché si continui a cadere vittima di aguzzini senza scrupoli o addirittura
diventarne complici. Scarsa conoscenza degli strumenti di contrasto? Sfiducia verso una
pronta e decisa reazione degli organi giudiziari? Inefficacia della funzione sociale
dell’antimafia che certamente andrebbe rivista ripartendo dal basso? Probabilmente – conclude il presidente di Asaec – una
sommatoria di fattori hanno contribuito a una minore attenzione verso un fenomeno tanto
persistente quanto devastante nel nostro tessuto economico.
Di certo, è necessario non solo fare di più, ma farlo meglio».
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