Lettera al movimento

Io c’ero.
Sono arrivata tardi, e il grosso della manifestazione, a detta dei bene informati, me lo sono persa.
Perché chi s’è aggregato al corteo al suo inizio, s’è allontanato in fretta.
Io l’ho incrociato in piazza Università, già spoglio di molti partecipanti.

Il mio disaccordo con quanto stava accadendo l’ho manifestato sul momento, e ne ho discusso a lungo coi presenti.

Ribadisco anche qui quello che ho già detto altrove: le ragioni del Movimento, in quanto studentessa, non posso non condividerle.
Si lotta per un’istruzione a cui, passo dopo passo, vengono amputati gli arti, uno dopo l’altro.
L’Onda, in Italia, fuori da La Sapienza di Roma, è morta. E’ morta perché non ha saputo reinventarsi, trovare maniere sempre nuove di aggregare la gente. Quando i riflettori si spengono, non si può più sperare di portare trentamila persone in piazza, di occupare un Rettorato e di far tremare un Governo.
L’Onda ha fatto opposizione, ma adesso è ridotta a quella schiuma bianca che si addensa sulle rive delle spiagge.

A Catania, però, la situazione è su un piano un po’ diverso rispetto a quanto accade nel resto d’Italia.
A Catania c’è Farmacia coi suoi scandali e le sue morti.
Su Catania c’è stata la puntata di Report, e lo sdegno di cittadini che, per l’avere lo spirito critico quasi atrofizzato, sembra si siano svegliati di colpo.
La maggior parte dei catanesi s’è trovata a guardarsi attorno spaurita, domandandosi: “Ma è davvero questa la MIA città?”.
L’Onda, a Catania, vuole palesare il disagio di molti. Vuole concentrare i suoi sforzi sul locale, lasciandod da parte il nazionale. Scelta comprensibile, oserei dire giusta.
Ma come lo fa?
Lanciando quattro uova e due pomodori contro il palazzo del Comune?

“E’ un simbolo, contro un’amministrazione che meriterebbe ben più di questo…”

Sapete che vi dico?

Mentre guardavo Report mi montavano la rabbia e la nausea. E so che la medesima sensazione l’ha provata chiunque, come me, giri per la sua città e la osservi con l’ambiguità di chi la ama, ma vorrebbe fuggirne per costruirsi qualcosa di bello altrove, però poi si rende conto che, se se ne andassero tutti i giovani che hanno voglia di fare, Catania sarebbe morta.

Io provo il vostro stesso disprezzo, ma non ho lanciato uova né pomodori. Non vi s’è dato dei terroristi, ché non lo siete e lo sappiamo benissimo.

L’ho ripetuto più volte: chiamatela “disobbedienza civile”, chiamatela “azione simbolica”, chiamatela “la vergogna di una città che si ribella alla sua amministrazione”, ma a me è sembrato soltanto un comportamento che lascia spazio facile al biasimo.

Avete spostato l’attenzione dai contenuti alla forma.

Ce l’avete col Comune?
Presentatevi ai Consigli Comunali, discutete l’Ordine del Giorno, fate proposte serie e concrete.
Organizzate raccolte di firme per far abolire leggi che non vanno bene.
Sfruttate i mezzi di comunicazione a vostra disposizione.

Io ce l’ho col Comune e con l’informazione che non c’è. Ce l’ho coi miei concittadini che si lamentano di Report perché “non ha mostrato la parte migliore di Catania”.
Il mio dissenso lo manifesto ogni volta che accendo il pc e scrivo un articolo, ogni volta che firmo una lettera da inviare ad Ezio Mauro per reclamare il mio diritto all’informazione.

Non sono una megafomane, io. Non riuscirei mai a riempire una piazza, ma nel mio piccolo, ogni volta che posso, reagisco.

Non fatevi additare come quei ragazzini che, visto che non sapevano cosa dire, si sono messi a lanciare le uova.

Risponderete: “Le cose da dire le avevamo, sono stati loro che ci hanno fatto trovare il portone chiuso e che, da Ottobre, non ci ascoltano”.

A Ottobre eravate trentamila, qualche giorno fa, a malapena duecento.
La colpa non credo che sia del portone chiuso.

Mi è stato detto: “Stiamo lavorando a qualcosa di fattivo…”

E quando agirete?


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