L’equivoco sull’intervista all’amica di Stefania Noce Messaggio politico espresso con un linguaggio privato

Il personale è politico. Lo dicevano le femministe negli anni ’70 e ci torna in mente oggi, dopo le polemiche suscitate da uno degli articoli della copertina di MeridioNews Catania dedicata a Stefania Noce, la studentessa 24enne di Licodia Eubea vittima di femminicidio. Copertina pubblicata il 25 novembre – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – e all’indomani della sentenza di appello che conferma l’ergastolo per l’assassino, l’ex fidanzato Loris Gagliano. Ciò che ha suscitato queste polemiche è, a nostro avviso, un fraintendimento di fondo, forse una lettura poco attenta, concentrata per lo più sul titolo, di questo articolo-intervista ad un’amica storica di Stefania Noce. Un’amica, appunto, che con un linguaggio comprensibilmente informale, ma legittimato dal rapporto privato tra le due giovani donne – e dall’affetto che le legava – ha dato, a ben guardare, un messaggio politico forte. Purtroppo equivocato – e questo ci dispiace – ma che a una lettura attenta non può che rappresentare la migliore risposta alla più conservatrice critica che viene mossa alle vittime di femminicidio: «Non si rendeva conto? » o «Perché non lo lasciava?». Perché non è facile, rispondono da sempre le femministe. Ed è questo che dice l’amica. Le prime parlando il linguaggio politico – nel senso più ampio e pubblico del termine -, la seconda il linguaggio privato, la lingua del cuore.

Secondo alcune letture che sono state fatte, dall’articolo si dedurrebbe un’intenzione di rendere colpevole la stessa vittima, di dipingere la figura di «una sprovveduta incapace di comprendere e salvarsi». E qui sta l’equivoco. La rabbia dell’amica è quella di chi vede una persona amata vittima di dolore e poi di violenza assassina. E ciò nonostante la preparazione e la consapevolezza che Stefania aveva riguardo al tema della violenza sulle donne. La stessa rabbia che dice a tutte le lettrici che nessuna è al sicuro. Che non basta essere informate in teoria. Che non è facile lasciare o lasciare andare, che ci sono dinamiche complesse. E che, da amiche, non è sempre facile entrare nelle scelte degli altri. Esattamente quello che si deve rispondere a chi davvero colpevolizza le vittime di femminicidio. Solo che l’amica intervistata l’ha detto con il linguaggio della vita quotidiana, anziché con quello della teoria.

Teoria che resta utile e necessaria. E infatti l’intervista in questione si colloca, ed è lì che andrebbe letta, nel contesto della copertina che comprendeva – oltre a un commento del padre di Stefania Noce e a un racconto di violenza domestica – anche un’importante intervista all’esperta di questioni di genere Pina Ferraro, ex consulente della famiglia Noce e consigliera di Parità della provincia di Ancona. Questa è, ed è sempre stata, la posizione di MeridioNews sul femminicidio. Come dimostra la storia della nostra testata che, sin dai tempi di CTzen.it, è stata tra i pochi spazi di informazione locale in cui le questioni di genere hanno sempre trovato spazio e visibilità. Il processo per il femminicidio di Stefania Noce è stato seguito udienza per udienza – nei tre anni trascorsi da quel tragico 27 dicembre 2011 – con la professionalità che ci è sempre stata riconosciuta e che dovrebbe essere evidente a tutti dalla nostra storia editoriale. Ci amareggia l’equivoco suscitato dall’intervista. Ma ci amareggiano ancora di più gli insulti rivolti a una giovane donna – l’amica intervistata – e il fatto che la stessa indignazione non venga espressa, invece, di fronte agli attacchi concreti che ogni giorno riceve chi lavora per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne. Come il centro antiviolenza catanese Thamaia, a rischio chiusura, che attende ancora i fondi del Comune di Catania.

Noi continueremo a dedicare il nostro lavoro e la nostra professionalità a questi temi. Senza ipocrisie o moralismi, guardandoci bene dalla retorica sul femminile e dagli approcci securitari. Così come dal vittimismo e dagli steccati che vogliono dividere i ragionamenti in categorie rigide: buono e cattivo, bianco e nero. Non banalizzando, ma guardando alla complessità. Con una porta aperta alle opinioni di tutte e tutti, purché dettate dalla volontà di comprendere. Ognuno e ognuna col proprio linguaggio.


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