«Ho fatto questa scelta per amore e oggi sono felicissimo». Gabriele Gonzo, catanese con un passato da ex chimico e dottore di ricerca in materiali per elettronica, racconta a MeridioNews cosa lo ha spinto a lasciare la sua professione per abbracciare il circo contemporaneo, al quale ha deciso di dedicare ogni energia, con l’appoggio della sua compagna Chiara Serges, originaria di Lentini. «Lei ha studiato scienze politiche e ha lavorato in uno Sprar di Francofonte – spiega -. Abbiamo deciso di intraprendere questo percorso insieme quando eravamo già adulti, inizialmente da autodidatti, poi a 25 anni ci siamo iscritti alla scuola romana di circo e un anno dopo alla Flic di Torino, che è stata quella più impegnativa. Abbiamo lavorato con la sensazione di avere i minuti contati ma siamo riusciti sempre a ottimizzare i tempi e in questi anni siamo cresciuti molto sia fisicamente che artisticamente».
La prima a partire per Roma è stata Chiara, raggiunta poco dopo dal comapgno. «Quando ho mollato il lavoro mi hanno dato del folle, perché ero apprezzato da tutti e pagato bene – rivela Gabriele, che oggi ha 31 anni -. Se fossi rimasto, sarei stato assunto a tempo indeterminato tramite l’inserimento automatico dei ricercatori precari, com’è successo a un collega con un profilo più o meno simile al mio. Un po’ mi pento di non aver proseguito quel cammino ma, tra quello che mi piace e quello che amo, ho scelto quest’ultima opzione e ad oggi la mia vita è pazzesca».
Dopo gli studi nella Capitale, entrambi sono tornati nella città di lei, Lentini, con la voglia di lavorare insieme a tempo pieno: nasce così il Red One Duo, che trova sede artistica al palazzo Beneventano. «Venivamo da una sfilza di no e da proposte indecenti – ricorda Gonzo -. In altre strutture ci avrebbero permesso di allenarci solo in cambio di qualcosa, molti credevano che volessimo giocare ma in realtà per noi il circo contemporaneo è un lavoro vero e proprio». Così una sera Chiara ne parla con una sua amica, Simona Tocco, che le descrive il palazzo Beneventano dicendole che avrebbe potuto fare al caso loro. Ed effettivamente lo è stato. «Qui abbiamo trovato persone comprensive che ci hanno aperto le porte senza compromessi – ammette il giovane -. Abbiamo messo in piedi il nostro primo spettacolo, Pillole di rosso, con una impostazione da circo-teatro perché da Roma siamo tornati con quel tipo di bagaglio. Non è il classico teatro di strada perché non facciamo nessuna interazione col pubblico, raccontiamo una fiaba col corpo, senza parlare».
Con questa performance, hanno fatto il giro del Meridione, esibendosi a feste di paese, concerti, premiazioni, festival, notti bianche e così via. «Dopodiché siamo andati a Torino, per noi un passaggio obbligatorio perché è il luogo italiano in cui c’è il massimo fermento in ambito circense – prosegue -. Lì abbiamo studiato per un anno e quella scuola ci ha aperto un mondo». Anche per Chiara è stato amore a prima vista. «Quando mi allenavo sentivo che non avevo mai dedicato tanto impegno e costanza nel fare qualcosa, così ho realizzato di avere trovato la mia strada – sottolinea la giovane -. Oggi mi esercito fino a sera e pur affaticandomi molto, io mi sento bene con me stessa. Dopo Torino siamo stati anche a Udine e Firenze ma ad un certo punto, a gennaio, abbiamo sentito l’esigenza di tornare a casa. Quando sono fuori mi manca tutto della Sicilia – confessa -. Il clima, il mare, gli amici, la famiglia. Insomma, tutto. Ovviamente se non ci fosse stato il palazzo Beneventano come luogo per fare pratica non saremmo mai ritornati».
Adesso, il duo è impegnato nella creazione di un nuovo spettacolo. Si chiamerà Fiù, «l’onomatopea di un fischio» e sarà pronto in estate. «Evocherà un immaginario onirico, siamo contenti di quel che sta venendo fuori. Inoltre – aggiunge Gabriele – stiamo collaborando al progetto Beneventano night experience, io come regista e autore, Chiara fa la supervisione artistica. Abbiamo in cantiere anche un altro spettacolo al quale lavoriamo da due anni, che speriamo di riuscire a chiudere entro l’anno prossimo. Il nostro circo evoca immagini che possono essere lette da tutti e non mira a stupire, l’intenzione è soprattutto quella di trasmettere delle storie».
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