Biagio Guerrera è un poeta. Ma non lo vedrete chino su un foglio a grattare la carta con la piuma d’oca: come per gli antichi cantori, anche per lui la poesia sorge spontanea come canto – un canto nella lingua della madre terra, il siciliano. La sua carta è un registratore, il suo inchiostro la voce.
Solo in un secondo momento la voce diventa inchiostro, le sue poesie carta stampata. Sulla pagina le parole si dispongono come gocce, martellanti, ritmiche: «manu, ucca / uci, bamminu / u munnu jè na cosa ca si tocca», recita un brano dalla raccolta Amàri. Lunghe sequenze di nomi, che scandiscono oggetti del paesaggio siculo, evocativi nella loro veste vernacolare: «isula, alivu / ventu, lumia / u munnu jè na cosa ca si ciauria». La poesia di Guerrera è già musica.
«Non compongo in siciliano per una tentazione identitaria o folcloristica» precisa Guerrera, spiegando le origini della sua ispirazione. «Semplicemente ho sempre avuto una passione per la cultura popolare. Come un filo segreto che mi legava alle mie origini, a mia madre. E che ho sentito molto forte sin da giovane, quando ho perso i miei genitori».
Ora che conoscete Biagio Guerrera, non potrete stupirvi del cartellone da lui allestito in qualità di direttore artistico dell’Associazione musicale etnea, in cui parola e musica sono una cosa sola. Si spiega così il titolo della 43esima stagione concertistica dell’Ame presentata da Guerrera ai microfoni dell’Elzeviro, la neonata rubrica culturale di Radio Zammù e MeridioNews: «Versi, viaggi e memorie». Quasi ogni appuntamento del cartellone prevede infatti una fusione di musiche e testi, di musiche e immagini, di musiche e storie. Storie di viaggi, di uomini che solcano i mari e le terre. Aperta a uno scenario internazionale, l’Ame vuol far valere la Sicilia per ciò che è sempre stata, «punto d’incontro tra popoli e culture». Un nodo di suoni, parole ed immagini. Come la poesia di Biagio Guerrera.
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