Ho 82 anni. Tra un po tolgo il disturbo e raggiungo la mia povera moglie al camposanto. E lì, tra i miei ultimi ricordi, avrò le stucchevoli discussioni con questa gente, dopo la mia onorata carriera, dopo aver lavorato in ogni epoca e con qualsiasi vertice Rai. Ma sì, ma che vadano a quel Paese (Enzo Biagi, 19 settembre 2002, La Repubblica)
L’editto che non c’è
Credo che se Berlusconi dovesse riguardare quel famoso editto, probabilmente dovrebbe riconoscere che è stato un errore.
Intervistato a Speciale Tg1 la sera del 6 novembre, al termine di una lunga giornata di lacrime e commozione, Ferruccio De Bortoli si è così espresso a proposito del diktat di berlusconiana memoria.
Nemmeno il tempo di lasciarci illudere dalle fiduciose quanto innocenti parole del direttore del Sole 24 Ore, che il Cavaliere già pensa a redarguire tutti: non cè mai stato nessun editto bulgaro, né ho mai detto che questi signori non dovessero fare televisione.
LItalia lo diceva lo stesso Biagi è un Paese senza memoria. Ecco spiegata limprovvisa amnesia di Silvio Berlusconi, il quale, con tutta la sua buona volontà, proprio non riesce a capire cosabbia fatto di tanto male per meritarsi questo stuolo di polemiche e critiche.
Bisognerà aiutarlo a scuotersi dalloblio.
Dallalto delle sue vicende giudiziarie, tra una prescrizione e unassoluzione, una condanna e unamnistia, il 18 aprile 2002 lallora capo del governo definì criminoso luso che Biagi, Santoro e Luttazzi facevano della tv pubblica, aggiungendo che fosse preciso dovere della nuova dirigenza impedire che ciò continuasse ad avvenire.
Comprensibile e naturale anche la scelta di rilasciare una simile dichiarazione direttamente da Sofia.
Presto e subito sparirono dai palinsesti i volti dei tre criminali.
Ma, a chi glielo ricorda, Berlusconi oggi replica: la verità è che io criticai – e la critica è ancora valida – come veniva usata la tv, soprattutto quella pubblica.
Per cui di epurazione non si è trattato: il Cavaliere aveva semplicemente espresso una critica dai toni forti ; una fatale coincidenza aveva poi inspiegabilmente portato allesclusione dalla Rai dei due giornalisti e del comico in questione. Le colpe, ingiustamente, sarebbero ricadute tutte su Berlusconi. Sicuramente una macchinazione dei comunisti: ancora una volta è stato tutto deformato dalla sinistra.
Ma, in fondo, lex premier aveva pure lanciato un chiaro messaggio di pace, o di disponibilità a una qualche trattativa, precisando che ove i tre cambiassero...
Voce di libertà, per stessa definizione di Napolitano, la sera delleditto Enzo Biagi rispose dallo studio del Fatto alle accuse del capo del governo, con gran classe e moderazione, esortandolo a dare unocchiata alla Costituzione, in cui è scritto che la libertà di stampa e la pluralità delle opinioni costituiscono il principio cardine della democrazia.
Poi rimandò al mittente il sottile ma nemmeno troppo invito a occuparsi d altro: eventualmente è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità che restare a prezzo di certi patteggiamenti . Una lezione di giornalismo che non va dimenticata.
Insomma, Biagi il problema lo aveva capito benissimo; semplicemente, come tutti i cronisti seri, era scomodo. Aveva dato fastidio la sua intervista a Indro Montanelli nel marzo 2001, in cui lamico si augurava la vittoria del centrodestra alle prossime elezioni, poiché Berlusconi è come una di quelle malattie che si curano con il vaccino.
Beretta, allora direttore di Rai1, censurò alcune risposte.
Il 10 maggio, lintervista a Benigni. Un riferimento di troppo al conflitto dinteressi, passando per le preferenze elettorali dellattore, resero nuovamente il Fatto un facile bersaglio.
Tra una polemica e laltra, ad ottobre ripartì la nuova edizione del programma, toccando picchi dascolto inediti.
Agostino Saccà, direttore di Rai1 e persona poco portata a far di conto, comunicò alla Vigilanza lesatto opposto, annunciando la necessità di reagire alla concorrenza di Striscia La Notizia con unofferta continuativa di mezzora e ripensando dunque la collocazione del Fatto allinterno del palinsesto. In compenso, continuava ad affermare che il giornalista, insieme a Vespa, fosse uno dei punti forza della Rai.
Anche lidea di assimilare Biagi a Vespa,oltre ad essere molto discutibile, fa un po orrore.
Loris Mazzetti, storico collaboratore e amico del cronista, ha recentemente ribadito ad Annozero che latteggiamento di Saccà potrebbe essere stato il prezzo da pagare per ottenere la promozione a direttore generale. Gratifica arrivata nel marzo 2002 (cronologicamente dopo aver dichiarato al Corriere la volontà sua e della famiglia di votare Berlusconi alle prossime elezioni).
A settembre, ecco andare in onda, dopo il Tg1, il programma pensato per dar spietatamente battaglia a Canale5 : Max e Tux, insieme di strisce comiche di durata più breve del Fatto, gag mute come muta dev essere linformazione che piace a certuni.
Del Noce, che nelle settimane prima dellesordio della nuova trasmissione, da bravo scolaretto, aveva continuato a studiare un nuovo spazio per il giornalista -senza preoccuparsi di concretizzare in tempi rapidi un nuovo contratto-, riuscì perfino a trovare una gloriosa spiegazione per linsuccesso del duo Lopez-Solenghi: Max e Tux sono vittime della solidarietà a Biagi che ha provocato un accanimento senza precedenti contro il nuovo programma. I soliti comunisti vs Max e Tux.
Antonio Di Bella, direttore del tg3, e Paolo Ruffini, direttore di Rai3, proposero allora al vecchio cronista un approfondimento giornalistico, stile il Fatto, da accodare al tg serale.
Pronta la replica di Baldassare che, dismessi i panni del re magio e vestiti quelli del presidente Rai, sentenziò che Biagi e il suo entourage sarebbero costati troppo per le finanze della terza rete.
Una risposta di stile quella inviata da Enzo Biagi a Saccà: sono pronto a rinunciare alle clausole finanziare del mio contratto, che non risulta certo tra i più onerosi e desidero che diate anche a me il compenso che tocca allultimo giornalista assunto (senza raccomandazioni), da spedire però ogni mese a Don Giacomo Stagni, parroco di Vidiciatico che in un istituto ricovera i vecchi delle mie parti che non hanno nessuno. Sono a disposizione se il mio lavoro può ancora servire.
Dunque, l ultimo disperato assalto di Saccà: lapprofondimento dovrà precedere il notiziario, non seguirlo.
Condizione inaccettabile per un giornalista serio come Biagi. Prima si danno le notizie, poi i commenti.
Infine, il colpo finale: il licenziamento del cronista con ricevuta di ritorno.
Ecco lostracismo di cui oggi parla il cardinale Tonini. Berlusconi, che è così mistico (nel novembre 1994 si autodefinì unto dal Signore), non dovrebbe rimanere indifferente alle accuse da parte di una tale personalità ecclesiastica.
È così dunque che si tratta un uomo che ha reso un servizio al Paese, con la sua correttezza, la sua onestà intellettuale, la sua dedizione alla professione tanto amata.
I particolari di tali squallide vicissitudini, soprusi e abusi, sono stati ampiamente raccontati in numerosi saggi, da Regime di Travaglio e Gomez, a Quello che non si doveva dire, scritto dallo stesso Biagi. Da ultimo, Il libro nero della Rai di Loris Mazzetti.
Enzo Biagi non ha certo bisogno di commemorazioni; limponenza della sua bibliografia, lironia della sua penna e la dignità della sua persona bastano per fare di lui il testimone del secolo e il giornalista che parlava ai lettori – e non agli editori o ai potenti-.
Negare leditto bulgaro significherebbe compiere lennesima ingiustizia nei suoi confronti. Cè chi continua a farlo. Ma da un uomo che nel 2003 definì invidiosi della sua posizione due professionisti come Biagi e Montanelli colpevoli di aver esercitato il diritto di critica in un Paese costituzionalmente libero e democratico- non cè da lasciarsi stupire (intervista a The Spectator, settembre 2003).
Berlusconi, davvero leditto bulgaro non cè stato? Del resto, se le bugie hanno le gambe corte, allora tutto torna.