L'ex boss di Piano Tavola è risultato decisivo nell'inchiesta Thor. L'assassinio dell'ispettore Giovanni Lizzio nel 2018 ha parlato anche di Mario Ciancio. Nei suoi racconti però ci sono anche particolari sull'ex presidente della Regione mai messi a verbale
Le rivelazioni del pentito Squillaci su omicidi e politica I brindisi per la morte di Falcone e i ricordi su Lombardo
Come in ogni vicenda di mafia e pentiti c’è un boss che decide di cambiare vita, il politico che finisce sotto la lente d’ingrandimento e i faldoni dei casi irrisolti, ormai impolverati, che vengono tirati fuori dagli archivi. Un pezzo della storia di Francesco Squillaci, l’ex killer dei Santapaola che nel 2004 da visionario del crimine si mise in testa di fondare una nuova famiglia mafiosa, è stata trascritta nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare Thor. Operazione che martedì ha fatto luce su 24 omicidi. Alcuni dei quali risalenti addirittura agli anni ’80. Squillaci è stato decisivo. Ha accusato anche il padre Giuseppe e il fratello Nicolò, ma ha pure rivelato di avere premuto lui stesso il grilletto decine di volte. Per i magistrati la sua è una scelta di parlare «genuina e di rilevante spessore».
La notizia della collaborazione venne fuori il 4 dicembre 2018, giorno della prima udienza del processo di secondo grado per la confisca del patrimonio dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo. Le prove generali Squillaci le aveva fatte quattro anni prima con una breve parentesi da dichiarante. Nell’aprile 2018, il faccia a faccia decisivo. L’abito però era quello di pentito di mafia. «Credo sia arrivato il momento di cambiare – le prime parole al pm Rocco Liguori – È una decisione sofferta, sapendo che la mia famiglia ha una radicata cultura mafiosa».
Uno dei casi a cui ha contributo ad aggiungere tasselli decisivi è quello sul duplice omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici. Eliminati nel 2007 nell’ambito di un regolamento di conti interno alla famiglia catanese di Cosa nostra. A un processo già chiuso, quello nei confronti di Vincenzo Aiello e Salvatore Di Bennardo, si era aggiunto un filone su esecutori materiali e complici del delitto. Un fascicolo per diverso tempo rimasto fermo nei cassetti, con il procuratore capo Carmelo Zuccaro che a MeridioNews aveva confermato come le dichiarazioni del pentito Santo La Causa non sarebbero bastate a sostenere un processo. Adesso qualcosa è cambiato.
Nella lista degli accusati è finito Vincenzo Santapaola, il figlio del boss Nitto. Secondo Squillaci sarebbe stato lo stesso rampollo a rivelargli, durante un momento trascorso insieme al centro clinico del carcere di Opera, di avere dato l’ordine di uccidere Santapaola e Sedici: «Mu rissi iddu ca u fici ammazzari». D’altronde della presenza di Santapaola Jr durante il duplice omicidio aveva parlato anche La Causa. Adesso, secondo i magistrati, ci sarebbe la conferma decisiva. Anche perché il passaggio al centro clinico risulterebbe nero su bianco dai registrati carcerari del penitenziario milanese.
Squillaci però non si è fermato alla mafia con la pistola fumante in mano. Quella fatta di bande, estorsione, omicidi e brindisi per festeggiare le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ha parlato anche di un presunto finto attentato alla villa dell’editore Ciancio e ha cominciato a raccontare anche alcuni aneddoti sull’ex governatore della Regione Sicilia Raffaele Lombardo e sul fratello Angelo. Entrambi, ormai da anni, sul banco degli imputati con la pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il pentito nei primi verbali – metà 2018 – fa riferimento a un colloquio in carcere con il fratello Nicolò. Sarebbe stato quest’ultimo a spiegargli la possibilità, tramite alcuni agganci alla direzione dell’amministrazione penitenziaria dei fratelli Lombardo, di ottenere un permesso premio. Per riuscirci, almeno stando alle sue affermazioni, il fratello avrebbe pure incontrato Angelo Lombardo. L’argomento politica, stando a due verbali, sarebbe stato confinato a quel faccia a faccia in carcere nella sala colloqui di Bicocca, oltre a un rapido scambio di battute, sempre dietro le sbarre, con il boss di Caltagirone Francesco La Rocca. Poi nient’altro se non generici riferimenti al presunto appoggio elettorale dei clan di Catania al Movimento per le autonomie.
Squillaci però negli scorsi mesi, durante il processo ad Angelo Lombardo, ha stupito tutti. Aggiungendo altri particolari mai svelati prima. «Insieme a mio fratello abbiamo concordato che ci sarebbero potute essere possibilità di lavori per parenti non pregiudicati. Erano discorsi generici ma mi sembra che si parlava di prendere qualche posto negli ospedali del catanese, come impresa di pulizie o altro». Il pentito, il 14 aprile, tornerà a parlare di mafia e politica e l’occasione sarà proprio un processo: quello a Raffaele Lombardo.