Le denunce dei commercianti inguaiano il clan Blitz a Borgo Vecchio, 20 finiscono in manette

Era uscito di carcere appena tre anni fa Angelo Monti, eppure, secondo la procura antimafia di Palermo, era subito risalito in sella e in pochissimo tempo era riuscito a rifondare il clan di Borgo Vecchio, una delle famiglie mafiose storiche della città. Una riorganizzazione ponderata, capillare, che si approvvigionava con le feste di quartiere, il mercato della droga e le estorsioni. Ma proprio dal racket è arrivato il colpo che ha fatto vacillare l’apparato: quattordici delle vittime del pizzo hanno denunciato, dando l’input alle indagini che hanno portato stamattina a venti arresti all’interno della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, tra cui lo stesso Angelo Monti, il fratello Girolamo, vero e proprio alter ego del boss; il nipote Jari Massimiliano Ingraoministro per lo spaccio, che gestiva i suoi affari pur essendo ai domiciliari, grazie all’aiuto dei suoi due fratelli. In manette anche Giuseppe Gambino, il cassiere del clan e il tramite di Monti Salvatore Guarino, già condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso, che si sarebbe servito di una squadra composta da Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto per organizzare e commettere materialmente le attività estorsive.

Lo spaccato che viene fuori dalle indagini è caratterizzato dal capillare controllo del territorio da parte dell’organizzazione, anche attraverso la continua ricerca del consenso verso un’ampia fascia della popolazione. I mafiosi, infatti, continuano a rivendicare una specifica funzione sociale, attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle più diverse problematiche: dai litigi familiari per motivi sentimentali alle occupazioni abusive di case popolari o agli sfratti per mancati pagamenti di affitti al proprietario di casa. E poi c’erano le feste patronali, come quella di Sant’Anna, patrona del rione, prevista dal 21 al 28 luglio del 2019. Una festa che, da tradizione, non è tale senza che al quartiere venga offerto lo spettacolo di un cantante neomelodico. E infatti gli uomini di Monti, una volta trovato il prescelto da fare esibire, si sarebbero spesi per le cosiddette riffe settimanali, raccogliendo le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. Soldi che, secondo quanto emerso, non servivano però solo per l’organizzazione della festa, ma anche per le spese della famiglia, come il sostentamento dei parenti dei carcerati.

Secondo gli investigatori il controllo di tutta la festa patronale era in mano al clan, che concedeva persino autorizzazioni per le bancarelle durante le celebrazioni. Nel 2019 il grande ospite della serata della patrona di Borgo Vecchio avrebbe dovuto essere il catanese Niko Pandetta, finito in quei giorni nell’occhio del ciclone per le sue parole molto eloquenti sulla mafia all’interno della trasmissione Rialiti, in onda su RaiDue. Pandetta, che gli inquirenti definiscono «in solidi rapporti con Jari Ingrao», va a trovare il nipote del boss, nonostante questi sia ai domiciliari. Fino a quel momento il concerto era in dubbio, proprio per la posizione scomoda di Pandetta, ed è lì che riceve il consiglio: «Fatti un tatuaggio con scritto Falcone e Borsellino così si risolvono i problemi». Lo spettacolo, alla fine, non andrà in scena, bloccato dalle autorità.

Sempre in tema di ingerenze mafiose, le indagini hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e Cosa nostra. Rapporti che non coinvolgono in alcun modo la società rosanero. Anche se dal punto di vista strettamente territoriale, lo stadio Renzo Barbera ricade nel territorio di confine fra i mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale, i vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio hanno mostrato un pressante interesse affinché i contrasti fra gruppi ultras organizzati del Palermo fossero regolati secondo le loro direttive, evitando spiacevoli scontri fra ultras all’interno della struttura sportiva, ritenuti da un lato dannosi per lo svolgimento delle competizioni e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto fra Cosa nostra e il variegato mondo del tifo organizzato cittadino.


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