Le cirque invisible

Se esistessero le parole giuste per definire l’impalpabile aroma della magia pura, il sapore dolce dello stupore di bambini, i colori caleidoscopici di fantasmagorie che prendono corpo sulla scena, quelle dovremmo usare per definire lo spettacolo che ha inaugurato la stagione teatrale dello Stabile di Catania.
Magia, forse, è l’unica parola che si presta ad una definizione, anche se sempre troppo parziale, inadeguata.

Hanno vinto una scommessa difficile, Victoria Chaplin, figlia talentuosa dell’indimenticabile “Charlot”, e il marito Jean-Baptiste Thierrée.
Nell’epoca dell’effetto speciale sorprende ancora la magia fatta di pochi stracci, quella appena suggerita da un gesto leggero.
Il sipario si apre e chiude su quadri sempre nuovi e sempre sorprendenti. Si alternano momenti di puro gioco a momenti di rarefatta e poetica bellezza.

Lui, dai trascorsi importanti sui più grandi palcoscenici del mondo, inventore del circo invisibile, con quei suoi modi da vecchio bambino, che fa suonare le bolle di sapone colpendole con un martelletto, trasforma conigli, papere, colombine, giocoliere, clown e illusionista.
Lei, dall’aria stupefatta e bambina, volteggia sulle funi, danza nell’aria, esegue perfette contorsioni, crea un fantastico zoo da insospettabili cenci.

Un circo perfetto, ma solo immaginato. Apparentemente fatto da sole due persone. In realtà, creato con la complicità del pubblico che partecipa rapito alla creazione. Credendoci.

Tutto fluisce con leggerezza, e le due ore di spettacolo volano via come una nuvola, senza apparente fatica, come un sogno impalpabile.
Pochissime le parole, ogni cosa si risolve in rapidi gesti, brevi cenni, sprazzi di colore e continue trasformazioni.

Negli occhi resta la meraviglia. Non solo per quello che hanno visto e immaginato con la guida dei due stupefacenti artisti, ma per aver scoperto di essere capaci di stupirsi ancora.
Nelle orecchie resta il suono melodioso rubato a bicchieri di vetro, bolle di sapone, pentole, biciclette e campanelli.
Ci si ritrova un po’ imbarazzati ma contenti, quando ci si scopre a fare ciao con la manina a quel simpatico buffo clown che dal palco ci saluta.


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