L’avvertimento del Telegraph: “L’Italia esca dall’euro o sarà la fine”

L’AUTOREVOLE GIORNALE INGLESE NON HA DUBBI: IL NOSTRO PAESE SI SALVERA’ SOLO SE RIACQUISTERA’ LA PROPRIA SOVRANITA’ MONETARIA

Poco dopo la stipula degli accordi di Bretton Woods (che, di fatto, eliminando l’obbligo dei singoli Stati di emettere moneta in rapporto alle proprie riserve auree, trasformarono l’Italia da Paese dotato di una moneta potenzialmente forte a una quasi nullità), ci si rese conto che il sistema, così come era stato pensato dai banchieri (sempre gli stessi), non avrebbe mai funzionato.

La situazione, per quanto grave, non era ancora irrecuperabile: l’Italia poteva condurre una politica valutaria indipendente, e la lira riusciva da avere un tasso di cambio abbastanza stabile rispetto al dollaro, cosa che consentiva di evitare l’aumento dei prezzi in lire delle importazioni spesso quotate in dollari (a cominciare dal petrolio, ma anche macchinari ad alta tecnologia, brevetti, apparecchi elettronici). Anche il rapporto con le altre valute europee non era, tutto sommato, male: una lieve svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, ad esempio, di fatto incoraggiava le esportazioni dei prodotti italiani verso i mercati europei.

Negli anni ’90 del secolo passato, più per costringere alcuni ad accettare l’unione politica piuttosto che per una reale necessità di creare un’unione monetaria, fu creato l’Euro, diventata la moneta unica dell’Unione europea l1 gennaio del 2002. Una scelta politica che, sin dall’inizio, lasciò molti dubbi e non convinse i tecnici.

Gli unici ad essere (almeno stando alle loro parole) contenti furono i politici di turno che riempirono le prime pagine dei giornali di teorie, mai dimostrate, sull’importanza di avere una moneta unica e sui vantaggi che gli europei avrebbero tratto dall’essere “zona Euro”. In realtà, fu chiaro sin dall’inizio che l’aumento dei costi era eccessivo e che i vantaggi, se mai ce n’erano, sarebbero stati, sarebbero stati per poche grandi aziende e non per la gran massa di piccole e medie imprese, né per i “normali” cittadini.

Qualche anno dopo, nel 200-2008, il mondo intero fu scosso da una crisi economica e finanziaria (secondo alcuni voluta) che causò danni irreparabili ad un sistema già in ginocchio a causa della moneta unica. Fu allora che cominciarono a risuonare le voci di eminenti tecnici e studiosi, tra cui anche alcuni premi Nobel (da P.Krugman a M.Friedman, da J.Stigliz a A.Sen, da J.Mirrless a C.Pissarides) che affermavano che l’Italia avrebbe fatto meglio a lasciare l’Euro e a riacquistare la propria indipendenza.

Eppure, nonostante l’evidenza delle conseguenze che stare nell’Euro aveva prodotto al Bel Paese e l’incessante invito a lasciare la moneta unica, una serie di Governi, nominati da Parlamenti casualmente (ma la casualità di molti eventi storici è sempre stata solo fittizia) eletti con un sistema elettorale incostituzionale, si è ostinata a legare il destino dell’Italia a quello dell’Euro. Fino a raggiungere l’assurdo di sottoscrivere, durante il governo Monti (colui il quale avrebbe dovuto salvare l’Italia e, invece, ha peggiorato e non poco la situazione) accordi che vincolano la sudditanza degli italiani a decisioni prese da soggetti come la Banca centrale europea (Bce).

Nei giorni scorsi un autorevole giornale inglese, il Telegraph, ha rivolto un invito agli italiani. E lo ha fatto con parole chiare e prive di ogni dubbio.

“E’ un fatto incontrovertibile che il disastro dell’economia italiana degli ultimi quattordici anni coincide con l’adesione alla moneta comune”: questo è il titolo di un articolo pubblicato nei giorni scorsi sul quotidiano britannico.

“Dal prossimo anno l’Italia uscirà dalla crisi. Ormai il peggio è passato”. Alzi la mano chi non ha sorriso ascoltando la ormai solita tiritera tipica dei capi di governo degli ultimi anni. Oggi il Telegraph accusa senza mezzi termini i politici italiani di aver preso in giro i cittadini:

“L’Italia è stata in depressione per quasi sei anni. Il crollo è stato punteggiato da false partenze, sopraffatto ogni volta dai dilettanti responsabili della politica dell’UEM. L’ultima ripresa è svanita dopo un solo trimestre. L’economia è di nuovo in recessione tecnica. […] si è tornati ai livelli di 14 anni fa. La produzione industriale è scesa a livelli del 1980”.

Il vero problema, quindi, non è quale sia la condizione dell’economia del Bel Paese (chi è così ingenuo da credere ancora alle promesse di certi politicanti). Né cosa si dovrebbe fare per rimediare. Le soluzioni sono semplici e chiare: riappropriarsi della propria sovranità monetaria (senza stare a dibattere se l’Euro funzioni o no, o se sia meglio ricorrere a questa o a quella moneta “complementare all’Euro”), tornando ad emettere una moneta nazionale; e, ovviamente, ridurre la spesa pubblica (che, invece, alla faccia della tecnicistica spending review, negli ultimi anni è aumentata).

Invece tutti i nostri governanti, da molti anni ormai, continuano a commettere errori pacchiani nella gestione delle finanze dello Stato. Per trovare una simile serie di errori pacchiani (sempre ammesso che di errori si tratti e non di scelte volute e imposte da qualcuno), bisogna tornare indietro di quasi un secolo: “L’Italia non ha subito niente di simile neanche durante la Grande Depressione, tra il 1929 e il 1939, e nemmeno Mussolini fu tanto maniaco da proseguire con le delusioni del Gold Standard”.

Il Telegraph non lascia dubbi sulle responsabilità di chi ha governato l’Italia fino ad oggi. Hanno agito come se fossero “ingannati da illusioni ottiche di un orizzonte senza vita. I prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo […]. Moody’s dice che l’economia si contrarrà dello 0.1% quest’anno”.

Lo stesso hanno fatto altre agenzie di rating. Tutti gli analisti prevedono che, continuando a gestire l’Italia in questo modo, la situazione non potrà che peggiorare. E lo stesso avverrà per i Paesi dell’area Euro, se dovesse continuare a calare anche la performance della Germania, l’unica, a parte i banchieri ovviamente, ad avere fino ad ora beneficiato della moneta unica.

Germania che sarebbe tra le più danneggiate da un’uscita volontaria dall’Euro dell’Italia. Specie in un momento in cui la Russia potrebbe chiudere le frontiere ai prodotti made in Germany (e la deflazione colpire anche le industrie tedesche): in questo caso l’Euro potrebbe non essere più sufficiente per salvare la Germania.

Di una cosa, però, nessuno ha tenuto conto, né il Telegraph, né i vari esperti che hanno valutato l’Euro e i danni che ha prodotto all’economia di un intero continente: la moneta comune non è stata una scelta popolare, voluta e richiesta dai cittadini europei. La moneta unica è stata imposta agli europei con un percorso dall’alto verso il basso (alla faccia del tanto vituperato approccio bottom up su cui tutte le scelte dell’UE dovrebbero basarsi), deciso da uno sparuto numero di tecnocrati che non miravano al bene del popolo europeo, se mai ne è esistito uno, ma agli interessi (mai parola fu più adeguata) di un ristretto numero di banchieri. E, per farlo, hanno eluso ogni forma di percorso o processo decisionale democratico e hanno imposto le proprie decisioni, quelle che in pochi anni hanno creato una situazione di povertà che rimarrà sui libri di storia.

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi su quali fossero gli obiettivi di questi “tecnici”, è sufficiente considerare un fatto: nei trattati che hanno portato alla definizione dell’Euro, sottoscritti dai governi nazionali, non è mai stata prevista la possibilità che uno di questi Stati potesse, un giorno, decidere di uscirne…Una volta dentro si è in trappola. A meno ovviamente di avere politici e governanti che abbiano il coraggio di affrontare le conseguenze di decisioni drastiche. Politici che, come ha detto il Telegraph nei giorni scorsi, l’Italia non ha.

 

 

 

 


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