Laura Salafia torna a Catania I colleghi: «Speriamo riesca a laurearsi»

«Ricordo quella mattina. Ero andata anch’io a sostenere un esame e quando ho saputo il motivo di tutta quella confusione mi sono chiesta “E se fosse successo a me?”». Sono passati diciassette mesi da quando Laura Salafia è stata ferita da un proiettile vagante in piazza Dante, a Catania. Aveva appena sostenuto l’esame di spagnolo e – accompagnata da un collega – stava andando a festeggiare il 30 e lode con un caffè o forse una granita. La telefonata alla famiglia, quella al fidanzato. Scene quotidiane, gesti automatici che ogni studente compie al termine di ogni fatica accademica. Poi gli spari, le urla, il sangue sull’asfalto e il primo giorno di un’eterna convalescenza.

Anche Gloria aveva sostenuto un esame e ricorda bene quel giorno: «Mi ripetevo ossessivamente che a terra avrei potuto finirci io». Sono in tanti i frequentatori dell’ex Monastero dei Benedettini che si ricordano di Laura. «Non la conosco direttamente, ma in quei giorni, quando non si sapeva che danni avrebbe riportato, piangevo di continuo» racconta Emanuela, studentessa a pochi esami dalla laurea in Lettere moderne. «I mie genitori non volevano che tornassi, inizialmente si temevano altri agguati. Si dava la colpa alla mafia, lì per lì». Di mafia non si è trattato, ma non significa che il peso dell’accaduto sia minore. Una questione d’onore, una ripicca nei confronti di chi ogni giorno lo insultava, e Andrea Rizzotti – condannato lo scorso 27 ottobre a 18 anni di carcere – decide di prendere una pistola e sparare in mezzo alla strada affollata. Uno, due, tre, quattro, cinque colpi di pistola. Maurizio Gravino – un pregiudicato di quarantuno anni che sbeffeggiava da tempo in pubblico Rizzotti – viene raggiunto da tre proiettili. Se la caverà piuttosto bene, non ha riportato danni permanenti. Laura Salafia, che oggi torna a Catania dopo sedici mesi passati in un centro di riabilitazione a Imola, è tetraplegica e ha problemi respiratori.

«Sono contento che Laura ritorni – dice Andrea, studente di Lingue – spero che riesca a terminare i suoi studi e si laurei». Accanto a lui Marta annuisce: «Sarebbe una bella risposta, una dimostrazione della sua indubbia forza».
Purtroppo c’è anche chi non conosce né la ragazza di Sortino né la sua storia. Si tratta soprattutto di matricole, ma c’è anche qualche studente più grande che chiede stupito: «Perché dovrei conoscere questa Laura?». Casi isolati, studenti che camminano a capo chino e non hanno mai visto nemmeno lo striscione con su scritto «Vicini a Laura» che per lungo tempo è stato esposto sulla balconata principale del Monastero.

«È forse una famosa?» chiede una studentessa iscritta da pochi mesi a Lettere. All’ingresso del bar Giovanna ha appena acceso una sigaretta; sente la domanda e in una nuvola di fumo risponde: «Quello che tutti dovrebbero capire è che siamo tutti Laura Salafia». Poi, con poche parole rapide ma efficaci, racconta quanto è successo in una calda mattina di luglio. Lo stupore, la domanda sciocca di una fuorisede di diciotto anni, si trasformano in consapevolezza e forse un po’ di paura.

«Qui potrà contare sempre sui suoi colleghi» assicura Luigi. «Nessuno potrà cancellare il dolore che sta provando, ma il fatto che stia tornando a casa è una vittoria. A metà, perché non è guarita, ma è pur sempre una vittoria» afferma Serena.

La piazza è sempre piena, mazzi di fiori con coccarde rosse e bottiglie di spumante stappate da ragazzi con una corona di alloro in testa. Una ragazza parla al cellulare e sorride: «Mi ha dato trenta, ci credi?».

Una laurea, un esame, un ritorno a casa. Buone notizie. Bentornata Laura!

 

[Foto di Giofilo]


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