L’assemblea delle mille speranze

Mille? Duemila? Ancora di più? Comunque erano tante le persone presenti venerdì scorso alla manifestazione cittadina in piazza Spedini, per dare una forte risposta della città contro la violenza e il degrado.

Forze dell’ordine massicciamente presenti a circondare la piazza. «Una presenza – spiega un maresciallo dei carabinieri – per dimostrare la nostra vicinanza al collega Raciti e per evitare che un gruppo di imbecilli possa rovinare una bella manifestazione come questa».

L’assemblea cittadina, prevista all’esterno, per colpa delle condizioni meteo si è trasferita dentro il vecchio palazzetto dello sport, gremito all’inverosimile. A riempire le gradinate, oltre alla presenza silenziosa di sindacalisti e uomini politici, tanta gente comune: a dimostrazione di come una parte “trasversale” di città sia accorsa a stringersi nella solidarietà di un momento di riflessione, ma anche rabbia. Su un grande striscione c’è scritto “Il riscatto di Catania parte da Librino”. Librino, come al solito, è assunto come simbolo delle “periferie”. A turno, “la gente comune” ha parlato al microfono, esponendo le proprie idee, le proprie sensazioni, le proprie storie e anche i propri suggerimenti.

Particolarmente toccanti gli interventi di due semi sconosciuti. Proprio in apertura d’assemblea, hanno gridato con le lacrime agli occhi il proprio rammarico per il luogo comune che confina in un ghetto l’altra faccia della Città. La rabbia di accettare come un dato di fatto che esistano due città, due mondi che si sfiorano appena in determinate occasioni, come una partita di pallone, ma poi si disconoscono per il resto del tempo. C’è una sola Catania – è stato più volte ripetuto – e quello della violenza e della depressione sociale è uno dei suoi aspetti.

Come c’era da aspettarsi, malgrado gli ottimi propositi di chi ha tenuto le redini organizzative, non sono mancate le occasioni per “fare passerella”, per cui ci si è trovati in una manifestazione contro la violenza magari a firmare una petizione per l’acqua, e con in mano un ventaglietto di volantini di partito. Malgrado queste piccole dissonanze, il senso vero dell’incontro lo si è visto soprattutto nella grande presenza di chi vi ha partecipato. E sono stati tanti i “non addetti ai lavori” che si sono avvicendata al microfono. Chi non ha potuto farlo, per limiti di tempo, ha scritto il proprio pensiero in un foglio bianco.

Al termine della manifestazione tutti i fogli sono stati raccolti e ne verrà fuori una sintesi che verrà pubblicata.

Tra le gradinate giovani e meno giovani, di tutte le estrazioni sociali. Tutti ci hanno detto di essere venuti per manifestare contro la violenza e il degrado della città sfociato nella tragedia del 2 febbraio. Un ragazzo di 28 anni: «Si sapeva che Catania era così, lo si sapeva da molto tempo e non stupisce quello a cui si è arrivati dopo il derby». Una ragazza ci ripete: «La cultura della legalità si è trasformata in cultura dell’illegalità, e la cosa si esprime principalmente nei giovani proprio perché è fin dalle scuole che non c’è più l’insegnamento dell’educazione civica. La mancanza di luoghi di aggregazione, in moltissime zone della città, fa il resto».

Tra tante parole spese si è cercato di dare una spiegazione dell’avvenuto e si è puntato il dito sulla famiglia, la società, il degrado di alcune quartieri, la politica, l’istruzione. Ci si è interrogati sulle cause e sulle responsabilità. Lo si è fatto con sincerità e buona fede, con rabbia a volte, o evidente frustrazione. Forse, dopo tanti anni in cui si sentono ripetere sempre le stesse cose e ci si pone gli stessi interrogativi, qualcuno pensa: “le solite cose che non si faranno mai”, addossando la responsabilità a una delle parti che, in una maniera o nell’altra, “dovrebbe fare il suo mestiere”, come la Politica o la Chiesa. Gli applausi agli interventi della gente “comune” sono stati generosi e sono arrivati da tutti. A prova del fatto che Catania vorrebbe essere una: a 20 e a 60 anni, da Librino a Corso Italia. La speranza dei presenti è quella che questa volta qualcosa cambi, che non si sia andati lì a far presenza soltanto per sentirsi a posto con la coscienza.

Per non perdere questo prezioso “treno” sono state annunciate varie iniziative, come quella della marcia dei poliziotti di domenica mattina. Per dare un segnale di volontà di cambiamento, per evitare che si dimentichi presto come spesso accade. Il fatto che l’iniziativa sia partita da un gruppetto di giovani e che abbia portato, in pochi giorni e senza mezzi, tutti quei catanesi sotto la pioggia a dire la propria, non è un punto di partenza da poco. Ci riusciranno? Ci riusciremo?


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