L’arte della moviola

Il montaggio cinematografico è “partecipazione e condivisione“. Questo è quanto, in modo quasi ridondante, è emerso durante tutta la Master Class, al TaoFilmFest, su “Il montaggio del futuro”. I due montatori di fama internazionale, Roberto Perpignani e il polacco Michal Leszczyolowski, che vivacemente si sono alternati nell’esposizione delle loro idee, hanno spiegato come fare della ricerca creativa una filosofia di vita. E ci hanno raccontato che lavorando e condividendo progetti insieme non si può che diventare grandi amici. Simbolo di questa saldatura è il soprannome, molto più semplice da pronunciare, Michal e Roberto Perpilowski, affibbiatogli qualche anno fa da altri amici.

La lezione, dunque, si è aperta con una fitta argomentazione sull’importanza dell’amicizia. Nel ’63 Perpignani ha incontrato Bertolucci, nel ’68 i fratelli Taviani: “incontri che si sono tradotti in amicizie, che sono diventate profonde grazie alla condivisione di progetti”.
Il motto che ne è uscito è di condividere con gli amici le passioni della propria vita e i segreti profondi della tecnica del montaggio, “che non vuol dire vedere le cose in modo appassionato (troppo superficiale) ma partecipe”. Come partecipato era il cinema a cui si affacciò Perpignani appena ventenne. Quelli erano anni penetrati dal movimento della “Nouvelle Vague”, basato sullo splendore del vero, anche se sappiamo, sostiene Perpignani, che “la realtà non può essere trasferita nella sua vera natura, va sempre elaborata”. Ma questo tipo di cinema si fondava appunto “su un’elaborazione diversa, un allontanamento dagli schemi, una condivisione profonda di progetti che rendevano degni di stima tutti coloro con cui si lavorava “côte a côte”. Ovviamente Perpignani fa bene a dire che lui entrò dalla porta laterale perché questo tipo di cinema non era condiviso dagli esponenti di quello classico. Per fortuna da novizio fece apprendistato con un grande “maestro di creatività e di coraggio”, quale Orson Welles, che lo rese partecipe più che appassionato, e gli insegnò ad usare la moviola ma soprattutto ad osare di andare oltre.

Il concetto di amicizia è importante per un montatore – il cui ruolo fondamentale è quello di analizzare obiettivamente il materiale girato – perché se può avanzare l’ipotesi di dire al regista che “quella scena come è stata immaginata non funziona” e se un regista decide di abbandonare l’idea iniziale, “vuol dire che entrambi nutrono profonda stima reciproca. Questo paga da un punto di vista professionale ma anche umano”.

Condivide a pieno Leszczyolowski, che aggiunge: “è grazie anche al rapporto che si riesce a instaurare col regista che si determina il successo di un lavoro. Il montatore decide l’inpoint, la parte centrale e l’outpoint del ritmo dovendo rimanere fedele al senso di questo ritmo. Mentre un regista è da subito un narratore, il montatore lo diventa dopo, entrando nel progetto in modo sempre più sofisticato. E così il film è come se nascesse tre volte: nella sceneggiatura, nel girato e nel montato”.

Più che un decalogo di tecniche di montaggio, dunque, hanno snocciolato una filosofia di vita, difficile da scrivere o da raccontare a parole, ma di sicuro più facile da mostrare visivamente in un film ben riuscito: come “La notte di San Lorenzo” dei fratelli Taviani o “La strategia del ragno” di Bertolucci. Vengono proiettate una clip di quest’ultimo, e altre clip tra cui una del film (che Leszczyolowski montò circa 22 anni fa) sulla vita del filmmaker russo Tarkovsky, dalle quali i due montatori hanno tratto spunto per tentare di spiegare la ratio della coesistenza dei piani sequenza con un piano-sequenza unico; o come superare le difficoltà nella scelta del ritmo che “permetta all’emozione di esprimersi in un suo flusso”, o come combinare le immaginie altro ancora.

La soluzione vera? E’ leggere dentro di noi, vedere come funziona la nostra bussola con cui fare arte e con cui percepiamo l’arte perché in base a questa propensione faremo le scelte emotive. E la comprensione di ciò che è meglio in quel caso, comprende la condivisione di tutti coloro che fanno parte del progetto”.

Quando si parla di cinema europeo si fa riferimento al concetto “autoriale” (“un film di…” che a volte è anche “la sceneggiatura di”, “la regia di”, “il montaggio di”) e in sostanza si tende o a concentrare tutto nelle mani di un’unica persona o a pensare che un film possa essere davvero il frutto di un’unica figura in cui gli altri operatori hanno solo un ruolo marginale. Niente di più sbagliato perché “forse non abbiamo capito che è un’opportunità lavorare con gli altri”, sottolinea Perpignani.

Infine luci puntate sul linguaggio cinematografico che è rimasto fermo, nonostante abbia goduto di tante rielaborazioni, a una trentina d’anni fa. Puntando sul fatto che “la tradizione ha il suo valore ma cadere nella convenzione frena il linguaggio”, Perpignani afferma che per non bloccare ciò, un insegnante dovrebbe insegnare ad un allievo ad avere un senso essenziale e creativo, ma il neofita poi dovrebbe decidere da sé come montare. Solo così i moduli costruttivi potranno cambiare… Purtroppo “il flusso temporale” durante la lezione è volato via presto e non si è avuto tempo per il dibattito.


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