Lanfranco Zappalà come Luigi Di Maio. Per qualche minuto c’è chi davvero ci ha creduto leggendo uno dei post che il consigliere comunale catanese è solito disseminare su Facebook. Sei volte eletto a palazzo degli Elefanti e, per lui, una carriera politica cittadina che, indenne, ha superato anche il passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica. Chissà se non solo per la certosina ricerca del consenso, ma anche grazie al suo attivismo social, oggi culminato in una boutade che si iscrive nella lunga diatriba fra il decano adesso all’opposizione della giunta di Salvo Pogliese e il Movimento 5 stelle. «Avrei dovuto scrivere che loro non sanno neanche dove stanno di casa», scrive Zappalà in un post che segue di pochi minuti quello che ha scatenato sorrisi, indignazione e soprattutto prese in giro incrociate.
Il consigliere irrompeva infatti nel dibattito di un gruppo Facebook catanese assai seguito con una «provocazione» che, in tempi d’attese spasmodiche di quel reddito di cittadinanza cavallo di battaglia dei pentastellati diventati forza di governo, non poteva passare inosservata. Dapprima l’offerta di lavoro partiva direttamente dalla segreteria politica di Zappalà, in seguito una «manina» ne ha modificato il testo spostando il mittente in capo a «un’azienda». Si cercano cinque collaboratori per un lavoro d’ufficio part time, retribuito con 780 euro. La cifra è la stessa di quella promessa dal vicepresidente del Consiglio Di Maio per il sussidio che dovrà «abolire la povertà». Anche la platea della singolare inserzione di Zappalà non cambia: «L’invito è strettamente riservato solo a coloro che rientrano nel reddito di cittadinanza proposto dal nuovo governo».
Lui stesso dice di non chiamarla appunto provocazione: «È qualcosa di più». Vallo a spiegare, però, agli utenti dei social che mantengono salda la fiducia nella misura cui lavora l’esecutivo Lega-M5s. La vena beffarda del consigliere risulta assai poco gradita. «Chi fa sarcasmo sulle misure legislative proposte dagli altri partiti dichiara inconsapevolmente di essere limitato», azzarda un commentatore. E a chi ricorda il passato di migrante della politica di Zappalà – transitato anche da Forza Italia, fra l’altro – lui stesso risponde con il conto esatto dei salti della quaglia: «Otto volte». In realtà sono di meno: da socialista, Zappalà entra nella FI del ‘94 per poi aderire alla causa di Enzo Bianco, fino al «naturale» – precisa lui – ingresso nel Pd.
«Sapevo che molti non avrebbero capito – commenta poi il consigliere a MeridioNews – e infatti dalla mia pagina l’ho rimosso, ma dal gruppo il post non lo tolgo». La notizia sta forse non tanto nella bagarre Zappalà-grillini, lo scontro fra l’antipolitica e la sua nemesi, quel trasformismo guascone venato di catanesità. Piuttosto negli altri effetti collaterali tra il serio e il faceto. «O forse il tragico – rilancia il vicepresidente del Consiglio – in molti mi hanno chiamato chiedendomi davvero informazioni su questi posti di lavoro». Aspettando la terapia anti-povertà del governo, un part time fa sempre comodo.
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