A 30 anni dalla legge che lo ha messo al bando, sull'Isola dal 1998 si contano1850 casi di mesotelioma, legato all'inalazione delle fibre. «Imprenditori che lo eliminano abbiano credito d'imposta», afferma Ezio Bonanni dell'Osservatorio nazionale amianto
L’amianto e difficoltà della Sicilia per smaltimento e bonifiche «Costi elevati e mappatura carente». C’è poi il nodo decessi
Sono passati 30 anni dalla legge nazionale che ha messo al bando l’amianto, tuttavia il materiale in Sicilia la fa ancora da padrone con tutte le conseguenze del caso. Nell’Isola si stima un quinto degli immobili in cui è presente l’elemento, considerato tossico e altamente cancerogeno, rispetto a tutto il territorio nazionale. I dati dell’Ossrvatorio nazionale amianto lasciano una fotografia accompagnata anche da un bollettino che parla di 1850 casi di mesotelioma, forma cancerogena legata all’inalazione delle fibre d’amianto disperse nell’aria. Da 1998 a oggi si contano, tenendo conto di altri patologie collegate, 6100 morti. I numeri non migliorano, almeno fino a quando i costi legati alla bonifica peseranno sulle casse dei Comuni e sulle disponibilità di imprenditori e privati. Ad affrontare il problema è Ezio Bonanno. Il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto è intervenuto durante la trasmissione Direttora D’Aria, su Radio Fantastica, in cui ha sottolineato come la situazione non sia particolarmente serena su questo fronte. «Quando si parla di costi delle bonifiche – afferma Bonanno – bisogna tenere conto che nel momento in cui si effettuano si evitano le future esposizioni alle sostanze pericolose e, di conseguenza, si evitano malattie e le relative spese sanitarie da sostenere. Senza contare, naturalmente, dei decessi che andrebbero scongiurati e dei successivi contenziosi in tribunale».
Una spesa per la bonifica che oggi si rivela un vero e proprio onere di cui prendersi carico. Per questo motivo Bonanni ha proposto una soluzione al governo. «Sarebbe importante che gli imprenditori che bonificano possano avere un credito d’imposta – sottolinea – così da defalcare il costo dalle tasse. Spesso si intraprendono delle azioni solo quando ci scappa il morto, ma bisogna intervenire in funzione preventiva. Bisognerebbe anche che l’Inail – aggiunge Bonanni – facesse la sua parte: gli imprenditori che agiscono in maniera etica devono essere tenuti in considerazione. Occorre perseguire una transizione che non sia solo strettamente ecologica ma anche etica, che punti alla sostenibilità sociale». La situazione sul fronte amianto in Sicilia appare disastrosa perché, come fa sapere il presidente dell’osservatorio, in passato «le imprese del Centro-Nord hanno impiantato le attività più dannose – conclude -Il Pil risulta prodotto altrove ma le malattie causate dalle industrie se le tiene la Sicilia. Se pensiamo ai nati malformati a Gela, alla fluoeredenite di monte Calvario a Biancavilla che è equiparabile all’amianto, ci accorgiamo di quante siano le problematiche che riguardano l’isola e che finora non sono state attenzionate in maniera adeguata a livello nazionale».
Dai dati rilevati, il 70 per cento delle malattie legate all’amianto è per cause legate al lavoro o a una cattiva attenzione, ma il 30 per cento è riferibile a condizioni naturali. «Il problema è legato alla diffusione in aria delle fibre, che non si generano solo quando l’amianto è rotto. Il solo uso di questo materiale ha come conseguenza l’emissione di fibre nell’atmosfera. Grazie alle sue proprietà di resistenza lo troviamo ovunque, anche nei condotti di areazione, isolanti e guarnizioni», spiega a Direttora d’aria la docente di Igiene e Salute pubblica di Unict Margherita Ferrante.
«I siti industriali in cui è presente l’amianto spesso sono dismessi ma restano abbandonati o non riconvertiti – continua la docente – un altro problema è la presenza naturale: molti siti, come quello di monte Calvario a Biancavilla o nell’area appenninica, sono interessati da inquinamento naturale con fibre che contengono materiali simili allo stesso amianto». Il vero problema resta quello delle bonifiche e dei costi. «Il piano regionale è stato recepito ma i vari Comuni non hanno i piani regionali completi e attuati e quindi tutti i materiali giacciono abbandonati nell’ambiente – spiega Ferrante – In 30 anni c’è ancora un problema economico e una percezione carente del pericolo, le persone che hanno manufatti in amianto hanno difficoltà a disfarsene anche per costi della dismissione. Ci vorrebbe un impegno economico e una mappare tutte le zone in maniera adeguata. Un problema complesso su cui si spera ci sia maggiore responsabilità».