L’Altro Mondo e le catastrofi che non fanno clamore

Chi di noi, siamo sinceri, riusciva a staccare gli occhi da quelle immagini? Il mare che si gonfia e inghiotte la terra. Case, automobili, ospedali, scuole, alberi. Uomini, donne, bambini. Alberghi e ristoranti di lusso distrutti irrimediabilmente. Ridotte a cumuli di macerie le capanne dei pescatori che in quei paradisi terrestri c’erano nati e lavoravano per sopravvivere agli stenti; ma per fortuna le capanne si ricostruiscono in fretta.

Siamo sinceri, il tg ogni giorno era un calvario. E come non inviare quel misero euro che di sicuro a noi non dà la felicità, ma che per quelle persone adesso significa tanto? Per un attimo ci siamo sentiti parte di quell’umanità sciagurata, per un attimo abbiamo sentito nostre le loro lacrime, eravamo lì con loro, tra le macerie, in mezzo ai cadaveri. Giusto per un attimo. Il tempo di ricevere la notifica dall’operatore telefonico, “Grazie per aver contribuito”. Poi basta cambiare canale perché tutto torni alla normalità.

Il numero delle vittime e dei dispersi europei lo conosciamo a memoria (un po’ meno quello delle vittime del luogo, della gente che non era lì in vacanza, e che anche se è sopravvissuta non ha una casa dall’altra parte del mondo in cui tornare), i telegiornali sono stati pieni di queste cifre per giorni e giorni. E noi le abbiamo ingurgitate, perché non ci si può voltare dall’altra parte davanti a catastrofi del genere. Se ne parlano così tanto, vuol dire che è davvero un’emergenza. E se sorvolano su tutto il resto vuol dire che tutto il resto, a confronto, non conta. Su questo non abbiamo dubbi.

Perché se il mondo stesse vivendo altre tragedie ce lo direbbero. Se nel mondo fossero in corso 34 conflitti (escluso quello in Iraq e quello in corso nella provincia indonesiana di Aceh al momento della catastrofe naturale – la “guerra dimenticata” svelata dallo tsunami – che tuttora crea grosse difficoltà per l’ingresso degli aiuti umanitari), di cui 18 solo in Africa, ne saremmo certamente al corrente.

Se ogni giorno circa 24.000 persone morissero di fame (non uccise da un’autobomba, non a causa di un terremoto o di un meteorite fiondatosi sulla terra: di fame, pura e semplice mancanza di cibo), se tra queste il 10% fosse costituito da bambini al di sotto dei 5 anni d’età, se un miliardo e trecento milioni (1.300.000.000) di esseri umani in tutto il mondo soffrissero di malnutrizione, se nel cosiddetto Terzo Mondo 6.000 persone al giorno morissero per malattie da noi banali come la diarrea e la bronchite, non basterebbero degli spot televisivi sporadici: ogni giornale dedicherebbe alla loro emergenza almeno la metà dei servizi, non può essere altrimenti.

Se 500 milioni di minori non avessero accesso ad alcun servizio medico, se, tra questi, 400 milioni non avessero a disposizione acqua sicura, se 270 milioni non potessero usufruire di servizi igienici, anche per loro Tim, Vodafone, Wind e Tre armerebbero una sottoscrizione.

Se ci fosse stato un modo per sapere dell’onda anomala in tempo per salvare decine di migliaia di persone, anche paesi poveri come Indonesia, Sri Lanka, India e Thailandia sarebbero stati dotati delle apparecchiature necessarie e di un sistema interno di allarme efficace come quello di Stati Uniti e Giappone. 

Se, dei paesi colpiti dal maremoto, la sola Indonesia (tanto per citarne una) avesse un debito con l’estero di 139.745 milioni di dollari e su questi pagasse 320 milioni l’anno di interessi, se i paesi africani pagassero ogni anno ai creditori 13 miliardi (non milioni) di dollari quando secondo l’Unicef ne basterebbero altri 9 ogni anno per salvare la vita a 21 milioni di persone, se davvero fosse così i “paesi eletti” del “Primo Mondo”, del nostro mondo dorato fatto di corse al successo, di quiz televisivi milionari, di vacanze in alberghi cinquestelle, di eccessi alimentari e di malattie come l’obesità, il nostro mondo che sembra lontano anni luce da “quell’altro” si fermerebbe a riflettere ogni giorno, ogni ora. Non solo dal 26 al 31 dicembre 2004.

Se ogni giorno, ogni ora, uno “tsunami silenzioso” inghiottisse migliaia di vite umane, se fosse così i media si caricherebbero del dovere di informarci. Se fosse così non esisterebbero emergenze di serie A ed emergenze di serie B.

Se questo fosse il mondo reale, non ci sono dubbi, lo verremmo a sapere.

 

www.warnews.it/

www.fao.org 

www.wpf.org

www.unicef.it/emergenze_attuali.htm 

Noemi Coppola

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