L’agguato ad Antoci, le molotov e il sangue sull’asfalto «Pensavo fosse finita, ora inizia la fase delle legnate»

«Ragazzi, tranquilli, oggi è iniziata la fase due: quella delle legnate». È Giuseppe Antoci a rassicurare i dipendenti del parco dei Nebrodi il giorno dopo l’agguato subìto sulla strada tra San Fratello e Cesarò. Torna in ufficio il presidente e la squadra lo accoglie davanti alla porta: baci, abbracci, pacche sulle spalle. E lui fa forza agli altri. «La paura è durata un giorno – racconta a MeridioNews – ieri sera, quando se ne sono andati tutti, sono rimasto con mia moglie e le mie figlie, le ho abbracciate, abbiamo parlato. Stamattina ripartiamo, niente di nuovo: continuiamo con la lotta concreta che abbiamo portato avanti dall’inizio. E con la consapevolezza di essere sulla strada giusta». Cioè quella di revocare l’affidamento di oltre 4mila ettari di terreno a imprese che sarebbero legate alle famiglie di Cosa Nostra, in particolare Batanesi e Tortoriciani.

La notte di terrore sembra ormai lontana. Spetta a inquirenti e investigatori adesso provare a fare chiarezza. Sarebbero stati minimo due, più probabilmente tre, gli aggressori che hanno fatto fuoco, con un fucile caricato a pallettoni, contro l’auto blindata del presidente del parco dei Nebrodi. «In macchina mi ero addormentato – ricostruisce Antoci – mi sono svegliato mentre i ragazzi della scorta parlavano tra di loro, dicevano “cosa sono queste pietre?“. Immediatamente ho sentito arrivare dei colpi, rumori assordanti, e mi sono ritrovato a terra in macchina, è stato il mio capo scorta a buttarsi sopra di me per proteggermi». 

L’agguato è stato preparato con cura. Le pietre occupavano tutta la carreggiata, grandi massi disposti a distanza di un metro l’uno dall’altro, impossibili da evitare o da superare senza scendere dalla macchina. La scorta ha provato a sottrarsi al fuoco, accennando un’improvvisa marcia indietro, tentativo subito fermato dall’arrivo di un’altra auto. Il timore, per un attimo, di essere rimasti chiusi, in trappola, che fossero sopraggiunti nuovi aggressori. “Fermi, polizia” è stato invece l’urlo rassicurante di Daniele Maganaro, commissario di Sant’Agata di Militello, che ha cominciato a sparare contro gli assalitori. A quel punto anche la scorta è scesa dall’auto esplodendo alcuni colpi di pistola. Quando la situazione è tornata tranquilla, sono state rinvenute due molotov inesplose e, sull’asfalto, alcune tracce di sangue al momento al vaglio della polizia scientifica che dovrà accertare se siano di origine umana – e quindi se è plausibile che uno degli aggressori sia stato ferito – o animale. «Quando ho sentito aprire lo sportello dell’auto – racconta Antoci – ero talmente terrorizzato che pensavo fossero loro, che era finita, invece erano i ragazzi della polizia che mi hanno salvato la vita».

A coordinare l’inchiesta è il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte, insieme ai sostituti Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco. «Quello che emerge – commenta Lo Forte – è che la mafia sta rialzando la testa, la terza mafia della provincia di Messina, quella dei Nebrodi, una delle organizzazioni criminali più antiche e pericolose. Dopo che i clan di Barcellona Pozzo di Gotto e di Messina sono stati colpiti in maniera forte anche dalle operazioni antimafia, i Batanesi e i Tortoriciani stanno cercando di recuperare terreno e spazi». 

Il parco dei Nebrodi – insieme ai Comuni che ne fanno parte – è stato promotore di un protocollo d’intesa con la prefettura di Messina che ha cambiato le regole alla base delle gare per l’affidamento dei terreni. Se prima per i contratti inferiori a 150mila euro bastava un’autocertificazione, il documento introduce l’obbligo della certificazione antimafia per tutte le gare. È questo il cuore del protocollo che ha portato prima all’interdittiva per diverse aziende aggiudicatarie dei terreni, e poi alla revoca adottata dai Comuni, in prima fila quello di Troina, il cui sindaco, Fabio Venezia, vive sotto scorta da dicembre del 2014.

Perché quest’agguato proprio ora? «Credo – ipotizza Antoci – che la recente sentenza del Tar, che ha confermato le interdittive e ha parlato esplicitamente di infiltrazioni mafiose, abbia creato nervosismo tra queste persone che si sentono con le spalle al muro. Anche perché hanno capito che il modello nato qui si sta esportando: Crocetta lo ha applicato in tutta la Sicilia, la Calabria lo sta prendendo a modello. Noi andiamo avanti, per troppo tempo si è fatto finta di niente, per timore o per complicità. Questi terreni – conclude Antoci – spettano ai giovani, a chi crede in uno sviluppo basato sulle legalità». 


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