La “Vita di Galileo” è in scena

Titolo: Vita di Galileo
Autore: Bertolt Brecht
Traduzione: Emiliano Castellani
Regia: Antonio Calenda
Scene: Pier Paolo Bisleri
Costumi: Elena Mannini
Musiche: Germano Mazzocchetti
Luci: Gigi Saccomandi
Interpreti: Franco Branciaroli, Giulia Beraldo, Emanuele Fortunati
Produzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Teatro de Gli Incamminati

 

Nell’ampia ma mal rifornita sala del teatro Ambasciatori, che pecca sempre nell’acustica, sicuramente a causa della sua originaria destinazione d’uso (cinema), il regista Antonio Calenda porta una delle opere brechtiane più conosciute: Vita di Galileo.
Si tratta di un esempio lampante della maestosità dell’autore teatrale tedesco, che cerca sempre di collegare le sue opere alla realtà sociale affinché lo spettatore sia in grado di giudicare criticamente la rappresentazione e riuscire ad intravedere con lucidità i legami con il mondo in cui vive. La denuncia ambientata nell’Italia del ‘600 si può perfettamente rispecchiare nell’Europa della prima metà del XX secolo, ma non solo. I due poli di attenzione sono gli stessi che ritroviamo sulla cronaca di questi giorni: fede e scienza. Ed ancora attualissimo è il tema secondario, ma non troppo, della ricerca di una sicurezza finanziaria ad opera di un insegnante che non riesce a vivere solo con i 10 scudi al mese per le lezioni private e per questo motivo si ingegna anche a costo di “rubare” un brevetto già diffuso nella non troppo lontana Olanda.

Su uno scenario spartano, composto da un pannello stellato a rappresentare l’infinità del cielo e dalla scrivania su cui Galileo ha trascorso i suoi giorni alla ricerca perenne del sapere e della scoperta di “quel tanto che non è ancora stato trovato”, si susseguono stralci significativi della vita del matematico. Venezia1609, Padova 1610, Firenze 1612, Roma 1616, Firenze 1624 sono solo alcuni luoghi e date che illuminano il palco e che ripercorrono gli episodi ritenuti fondamentali per la comprensione della “discesa” di Galilei fino all’abiura.


Protagonista indiscusso ed onnipresente nelle scene è Franco Branciaroli, nei panni di un Galileo concepito da Calenda in maniera più dimessa e tecnica, rispetto al roboante scienziato che era nella mente di Brecht. La sua recitazione risulta comunque molto naturale e convincente, riuscendo a conferire – senza un eccessivo contributo delle luci di scena – al personaggio i tratti contraddittori che lo caratterizzano: eroe negativo, ma allo stesso tempo ricco di elementi positivi. Galileo è lo scienziato per eccellenza che si vede costretto a rinnegare le sue dottrine che dimostrano che è la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa. Il problema è la cecità della Chiesa che non condivide la sua teoria, nonostante il cannocchiale dimostri palesemente la validità di questa stravolgente nuova concezione. Così, a causa della tortura della Santa Inquisizione, Galileo termina la sua vita a studiare clandestinamente i movimenti degli astri e dei pianeti.

Come la maggior parte delle opere brechtiane, anche questa è didascalica e priva di coinvolgimento diretto dello spettatore che non si sente emotivamente coinvolto nel dramma.

In effetti, le 2 ore e 20 minuti di spettacolo risultano nel complesso troppo statiche e dal ritmo monotono, anche a causa dello scarso contributo sonoro: solo un breve stacco musicale che scandisce in maniera ripetitiva i vari cambi di scena e situazioni. Nonostante ciò, comunque, a sipario calato non è mancato chi ha elogiato gli attori tutti con un entusiastico “Bravi”.

A chiudere le scene è un appello disperato dell’ultimo Galileo: “E quando, nel tempo dei tempi, tutto ciò che c’è da scoprire sarà stato scoperto, il vostro progresso non sarà stato altro che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità si sarà scavato un abisso così profondo che ad ogni vostro eureka risponderà soltanto un grido d’orrore universale”.


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