«Io se vogghiu fazzu gelatu puru ri cristiani» c'è chi giura di aver sentito dire a Vincenzo La Ferla, titolare e anima di un'attività storica scomparsa negli anni Ottanta. La sua storia e quella delle tante figure che animavano il cuore di una Palermo che non c'è più
La storia dimenticata del mago dei gelati dell’Arenella Dal gusto ricci di mare al gelsomino. «Un alchimista»
Nella Palermo di fine anni ’60, nei caldi pomeriggi d’estate, per le famiglie palermitane di ritorno da
Mondello, nel quartiere Arenella, all’incrocio tra via Papa Segio I e via San Vincenzo De Paoli, c’era un’unica
tappa obbligatoria: la gelateria del signor Vincenzo La Ferla. Al mago dei gelati recitava l’insegna colorata.
Gelsi, fragola, cioccolato, nocciola: dentro le lettere si potevano leggere i diversi di gusti di gelato, sempre
presenti al bancone. Ma la magia di questo luogo erano proprio le eccezioni, i particolari esperimenti del
titolare, strani gusti che all’epoca mai nessuno si sarebbe mai aspettato di mangiare dentro un cono gelato.
Diverse le varietà inventate: cannella, melone, stracciatella, gelsi, banana. E ancora: curaçao, gelsomino,
fichi d’india, persino ricci di mare. Lo ricorda bene Toni Gagliano, che sulla gelateria di ‘u zu Vicé ci ha scritto un
racconto. «’U zu Vicé era veramente un mago, un alchimista d’altri tempi – spiega – unico nel suo genere.
Tra i tanti gusti offerti ce n’era uno veramente particolare che mai più ho avuto il piacere di gustare: il
gelato al gelsomino. L’odore mi faceva impazzire. La cannella invece era il mio gusto preferito, la faceva
rosa; ricordo questo colore che ricordava le caramelline di cannella ricoperte di glassa di zucchero
colorato».
Poi c’era il curaçao, un gelato al gusto dell’omonimo liquore, a base di scorze di laraha, un tipo di arancia
dal caratteristico sapore amaro che cresce a Curaçao, nei Caraibi. «Molti lo paragonavano al puffo –
racconta Toni Gagliano – perché era azzurro, ma era un liquore simile al rum». E ancora: il gelato ai ricci di
mare, che in quegli anni proliferavano lungo la costa palermitana. «Lo assaggiai solo una volta – ricorda l’
assiduo frequentatore deAl mago dei gelati – e nonostante io vada matto per i ricci di mare quel gusto
non mi piacque per niente. Credo che, in effetti, al di là della ghiotta novità, il gelato in questione non
incontrò il gusto degli abituali avventori. Da lì a poco non venne quindi più prodotto, né richiesto».
Qualcuno ricorda di avere sentito dire al signor Vincenzo un giorno «io se vogghiu fazzu gelatu puru ri
cristiani (io se voglio faccio gelato anche di persone ndr)». Era così ‘u zu Vicé, a lui piaceva sperimentare. E
ai palermitani non dispiaceva, anzi, a giudicare dalla confusione che si creava all’interno del bar
sembravano tutti apprezzare particolarmente lo spirito innovativo del mago Vincenzo.
«Per tanti anni funzionò, funzionò bene – spiega Toni, che da bambino abitava nello stesso palazzo della
gelateria, al secondo piano – Si partiva dall’estremità della città per andare a prendere il gelato Al mago
dei gelati. C’era gente che partiva da Brancaccio, da Romagnolo, Corso dei mille. Ricordo da bambino che
si creavano delle code piene di gente, il locale si affollava di intere famiglie». Non c’erano banconi o posti a
sedere, il dessert si consumava in piedi. «Certuni addirittura nemmeno scendevano dall’auto – racconta –
era un classico che il capo famiglia lasciasse la macchina posteggiata alla meno peggio, con moglie, suocera
e prole numerosa dentro, e andasse a prendere i gelati per tutti. Poi consumavano tutti insieme questo
gelato dentro le macchine. Certe scene ce le ho ancora davanti agli occhi».
Al mago dei gelati rimaneva aperto fino a tarda notte, soprattutto d’estate. Se lo ricorda anche
Giuseppina, che di Vincenzo è la nipote, figlia di una delle sorelle. « Stavo là notte e giorno – spiega
– ero una ragazzina, c’erano due gemelli che lavoravano con mio zio, tra cui un certo Enzo, giocavamo
spesso insieme nel marciapiede fino alle due, tre di notte».
Ma che tipo era il signor Vincenzo La Ferla? «Capelli neri impomatati, baffetto da sparviero, pancetta e un
cappello bianco alla borsalino in testa» lo descrive così Toni Gagliano. Giuseppina ricorda invece l’animo
gentile e bonario dello zio: «Era bravo con tutti, aiutava tutti, se qualcuno ci andava dicendo che non aveva
soldi lui infilava le mani nella tasca e dava a tutti. Specialmente se gli dicevano che avevano dei bambini,
capiva la situazione familiare e gli diceva: “tieni, con questi vatti a fare la spesa”».
Alla cassa del bar, a fare da supervisore e contabile, la moglie de ‘U dutturi – questo era un altro dei tanti
soprannomi che veniva affibbiato al signor Vincenzo dai frequentatori della gelateria – una donna attenta,
tutta d’un pezzo. «Stava sempre alla cassa e aveva l’atteggiamento di un maresciallo da reggimento – racconta Toni Gagliano – credo che i dipendenti avessero più timore di lei che del marito. Aveva questo
piglio da comandante, era lei alla fine che dirigeva la baracca per quello che riguardava la parte economica e commerciale dell’attività. Stava perlopiù alla cassa, mentre il marito si dedicava alla produzione artigianale
dei gelati».
«Mia zia non era severa – chiarisce Giuseppina – stava sempre chiusa in casa, il pomeriggio usciva, si andava
a sedere là alla cassa e controllava tutto. Vedeva che mio zio era buono, se lo giocavano come volevano,
di soldi gliene hanno mangiati parecchi». Poi c’erano i dipendenti storici, alcuni lì sin da bambini, altri
fedelissimi, come Paolo, detto Paliddu, e la moglie Lucia che seguiranno lo Zu Vicé anche quando sarà
costretto a chiuedere l’attività per spostarsi alla Fiera del Mediterraneo. «Paluzzu e Lucia erano pure senza
figli, come lo zio – spiega la nipote – mi volevano un gran bene. Paluzzu era l’affidatario, un brav’uomo, magro magro». Anche Toni ricorda quest’uomo dalla corporatura asciutta: «era un tipo singolare –
racconta-, alto e magro come una canna. Volto emaciato, aspetto trasandato e, poverino, ignorante come
la calia. Là dentro Paluzzu era l’uomo tuttofare, stava al laboratorio, stava al bancone, era l’uomo di fatica
per eccellenza, ed era pure, spesso e volentieri, oggetto di scherno degli abituali clienti paesani».
Nonostante i promettenti affari iniziali, che porteranno il signor Vincenzo ad ampliare i locali, passando da
una piccola gelateria iniziale ad un bar; a metà anni ’80 Al mago dei gelati cambierà gestione e di ’U zu
Vicé non se ne saprà più nulla. Sulla chiusura dell’attività, nel quartiere, svariate voci di corridoio e un’unica
certezza: all’angolo tra via Papa Segio I e via San Vincenzo De Paoli non ci sarà più nessuno in grado di fare
dei gelati una magia.