«Entro fine novembre» a Lampedusa aprirà il primo hotspot, centro di identificazione con personale dell'Ue. Seguiranno Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta e Trapani. Dovrebbero essere la prima tappa del ricollocamento verso altri Paesi, ma l'Europa si è sostanzialmente impegnata ad accogliere chi già non aveva intenzione di fermarsi in Italia
La Sicilia laboratorio dell’Ue sull’immigrazione Con i nuovi hotspot più difficile lasciare l’Italia
La Sicilia si appresta a diventare il laboratorio delle politiche europee sull’immigrazione. Hotspot è la parola nuova che va associata a un concetto vecchio: i centri di identificazione, già presenti sull’isola, spesso all’interno dei Cpsa, i centri di primo soccorso e accoglienza. Gli hotspot saranno cinque: a Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Porto Empedocle e Augusta. Verranno attivati in strutture già esistenti e gestiti dal ministero dell’Interno italiano in collaborazione con le agenzie europee Frontex, Easo ed Europol. «L’unica cosa che cambierà è lo status giuridico dei migranti che vi entreranno – spiega Fulvio Vassallo, docente di diritto d’asilo all’università di Palermo – entro 72 ore dovranno essere o ricollocati nei Paesi del Nord Europa, o trasferiti in altri centri di accoglienza o rimpatriati, o, più concretamente, gli verrà dato un foglio di via con l’obbligo di lasciare l’Italia».
A confermarlo sono gli amministratori locali. «Noi l’hotspot lo facciamo già – spiega Angelo Zaccaria, direttore del Cpsa di Pozzallo – non abbiamo ricevuto ancora alcuna comunicazione ufficiale, ma si tratterà di aggiungere qualche tavolino e accompagnare i migranti per l’identificazione». L’unica cosa certa è, appunto, che chi entra nel nuovo centro dovrà lasciare le impronte digitali. «Chi non accetterà finirà nei Cie», ha spiegato Mario Morcone, capo del dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno. Verrà cioè detenuto in attesa di espulsione. Chi invece verrà identificato non potrà più viaggiare liberamente nell’Unione europea, perché costretto a chiedere asilo in Italia, Paese di primo approdo. A meno che non rientri nelle famose quote di ridistribuzione. La scorsa settimana Bruxelles ha dato il via libera al piano di ricollocamento di 120mila migranti dai Paesi di frontiera – Italia, Grecia e Ungheria – verso il resto d’Europa. Dal nostro Paese partiranno 40mila richiedenti asilo. Ma solo siriani ed eritrei, perché provenienti da Paesi in guerra. Persone che in larga parte già non rimangono in Italia, ma proseguono il loro viaggio verso il Nord Europa. A dimostrarlo sono i numeri, pubblicati recentemente dall’agenzia Redattore sociale: nei primi nove mesi del 2015, su un totale di circa 122mila arrivi la nazionalità più rappresentata è quella eritrea con 32mila 129 persone soccorse, seguita dai nigeriani 15.383, i somali 9.165, i sudanesi 7.450 e i siriani 6.826. Stando alle richieste di protezione internazionale (dato relativo ai primi cinque mesi del 2015) però quelle avanzate da siriani sono appena 132 mentre quelle presentate dai cittadini eritrei 149.
L’Europa si è sostanzialmente impegnata ad accogliere chi già non aveva alcuna intenzione di fermarsi in Italia. E gli altri? La convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati prevede una valutazione sulla storia personale del migrante, perché chiunque può essere perseguitato e quindi meritare protezione. «I migranti non potranno stare negli hotspot più di 72 ore – spiega Vassallo – come sarà possibile valutare le situazioni personali di ciascuno? Il sistema si ingolferà ed è destinato a fallire». Il rischio a cui vanno incontro i nuovi centri siciliani potrebbe essere duplice: o rimpatri affrettati, o il prolungamento della permanenza oltre il tempo stabilito dalle norme internazionali. Proprio qualche giorno fa, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la detenzione illegale, nel settembre del 2011, di tre migranti tunisini nel centro di Lampedusa. «Molti rimarranno bloccati in Italia – continua Vassallo – d’altronde la stessa Germania che accoglie i siriani dall’Est Europa non accetta ancora oggi quelli passati dall’Italia. In queste ore – racconta – un uomo è stato rimandato indietro, a Palermo, perché è stato provato il suo passaggio dalla Sicilia». Motivo per cui il ministro Alfano sta portando avanti la battaglia sui rimpatri: «Deve essere l’Ue a farsi carico di sottoscrivere gli accordi di riammissione, se un Paese non accetta il rimpatrio dei propri connazionali, l’Europa negherà a quel Paese gli aiuti economici della cooperazione internazionale. Se funzionano i rimpatri funziona il sistema, ma se non funzionano i rimpatri il sistema arriverà al collasso, non solo in Italia ma in Europa».
Il nuovo piano europeo ha già raccolto le critiche delle associazioni impegnate in prima linea. Per l’Arci «queste scelte rappresentano ancora una volta un favore ai trafficanti e un calcio ai diritti umani e al diritto d’asilo». Mentre il Consiglio italiano per i rifugiati teme che gli hotspot «diventino dei nuovi Cie». Intanto le identificazioni a Lampedusa sono già iniziate, anche se i rappresentanti delle agenzie europee non sono ancora presenti. L’avvio ufficiale è stato fissato da Alfano «entro fine novembre». La struttura avrà una capacità di 500 persone. Seguiranno le aperture dei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, con 300 posti all’interno dei centri di accoglienza già esistenti; Trapani, con 400, molto probabilmente nel Cie di contrada Milo. Entro la fine dell’anno si aggiungeranno Augusta e Taranto. In totale saranno circa 2mila posti.