Dodici morti e un disperso, danni ingenti in buona parte dell'Isola e la sensazione che il livello di sicurezza si sia abbassato. Il dirigente dell'Osservatorie acque, Luigi Pasotti, propone un nuovo approccio: «Bisogna fare nuove simulazioni su tutto il territorio»
La Sicilia è alle prese con il cambiamento climatico Esperto: «Dati su tempi di ritorno non bastano più»
Un’allerta rossa che aveva preoccupato, ma che in pochi probabilmente avrebbero immaginato potesse significare la morte di 12 persone – un’altra persona è ancora dispersa – e danni ancora da calcolare. Le conseguenze dell’ondata di maltempo che da giorni ha colpito la Sicilia – anche per oggi il livello di allerta su tutta l’Isola sarà di preallarme – riportano ancora una volta, l’ultima risale appena alla scorsa settimana dopo l’alluvione nella piana di Catania dove però per fortuna non si sono registrati morti, sulla manutenzione del territorio e più in generale su come esso sia stato gestito nel corso degli anni.
«Forse bisognerebbe valutare la riconsiderazione dei tempi di ritorno rispetto a come finora sono stati trattati, pare evidente che viviamo una fase di cambiamento climatico». A parlare è Luigi Pasotti, dirigente dell’unità operativa climatologica dell’Osservatorio acque della Regione. In queste ore sta analizando i dati registrati dalle stazioni sparse per la Sicilia. Nell’isola esistono due reti diverse di stazioni: quella dell’Osservatorio Acque, che fa capo all’assessorato Acque e rifiuti, e un’altra gestita dal servizio informativo agrometeorologico che invece rimanda all’assessorato all’Agricoltura. «Aggregare i dati è un obiettivo che bisogna raggiungere per avere un quadro quanto più completo possibile – continua Pasotti -. Tuttavia dalle due mappe possiamo dire che si è trattato di fenomeni la cui intensità era differente anche spostandosi di pochi chilometri rispetto alla stazione di registrazione».
Scorrendo i dati si scopre che, prendendo in considerazione gli ultimi tre giorni, le zone in cui si sono raggiunti quantitativi di pioggia superiore ai 150 millimetri sono diverse, con punte – specialmente nella parte occidentale della Sicilia – anche di 240. Quantitativi che di certo non rappresentano una consuetudine per il territorio. «I danni non sono stati solo causati dalla portata del fenomeno atmosferico, ma pure dal fatto che ci si è arrivati dopo un ottobre particolarmente piovoso – prosegue Pasotti -. Ciò ha ridotto la capacità di assorbimento dei terreni». Dal dirigente arriva poi la sollecitazione a fare i conti con un presente che pare carico di novità. «Bisognerebbe simulare su tutto il territorio regionale l’intensità e la persistenza di piogge simili a quelle che abbiamo registrato in questi giorni, riconsiderando quali zone sono sicure e quali no. E di fatto rimettendo in discussione i luoghi dove la gente può abitare e dove invece i rischi sono troppo elevati».
A occuparsi della valutazione della pericolosità e del rischio idrogeologico delle varie aree dell’isola è il piano per l’assetto idrogeologico. La Regione lo ha adottato nel 2004, quando a guidare la giunta c’era Totò Cuffaro. Negli anni successivi le schede di diversi bacini sono state aggiornate, anche sul sito regionale si riporta ancora la relazione generale di allora. Con tanto di parole dell’ex governatore. «Con l’adozione del Pai la Sicilia finalmente si dota di un importante strumento di conoscenza e di programmazione – si legge -. Obiettivo principale è il perseguimento di un assetto territoriale che, non mortificando le aspettative di sviluppo economico, minimizzi i possibili danni connessi al rischio idrogeologico e costituisca, altresì, un sistema di riferimento organico di conoscenze e di regole in grado di dare sicurezza alle strutture ed infrastrutture presenti sul territorio e soprattutto alle popolazioni».
Frasi che a distanza di 14 anni e soprattutto della cronaca di queste ore, con le tragedie di Casteldaccia, Vicari e Cammarata, risultano stonate. Specialmente se troverà conferma l’ipotesi secondo cui l’area in cui si trovavano le nove persone uccise all’interno del casolare a Casteldaccia era stata a suo tempo segnalata come altamente pericolosa. Situazione di rischio in un primo momento non ha trovato riscontro nelle parole del sindaco Giuseppe Di Giacinto – «il fiume Milicia non ha dato mai alcun problema» – ma che è emersa da quelle del collega di Altavilla Milicia, comune che confina proprio con Casteldaccia. «La zona in cui è esondato il fiume è ad altissimo rischio, non solo per le condizioni dell’alveo che va ripulito ma per l’enorme numero di case abusive costruite. Lo denunciamo da anni. L’ultimo esposto è di un anno fa e l’ho fatto con l’ex sindaco di Casteldaccia», ha detto Nino Parisi.