Un maxi sequestro di hashish da dieci tonnellate e un dettaglio che diventa una novità assoluta: a trasportare quel carico via mare per la prima volta era un equipaggio composto quasi del tutto da europei. Così in nove sono finiti dietro le sbarre, dopo un’operazione della guardia di finanza nell’ambito del contrasto del traffico internazionale di droga. Il carico, che all’ingrosso ha un valore di mercato di 20 milioni di euro, viaggiava a bordo dell’ex peschereccio Quest. Nave da 41 metri battente bandiera dei Paesi Bassi che in passato si è occupata di trasporti oceanici, per poi essere collegata a una compagnia di assistenza e soccorso in mare. I finanzieri, con il supporto del comando provinciale di Palermo e di quello aeronavale di Messina, hanno intercettato il natante a 130 miglia a sud-est della Sicilia orientale. Ma il suo percorso partiva da ben più lontano.
Quest avrebbe cominciato la spedizione da Malta, per poi proseguire in direzione dello stretto di Gibilterra e raggiungere le coste tra Algeria e Marocco. Quest’ultimo è il Paese monopolista del settore, detenendo l’80 per cento della produzione di hashish su scala mondiale. Dal Nordafrica sarebbe iniziata la navigazione in quella che è diventata negli ultimi anni una sorta di autostrada del mare per il contrabbando della droga, ovvero il Canale di Sicilia. «L’imbarcazione viaggiava sempre a largo delle coste – spiega il colonnello delle Fiamme Gialle Cristino Alemanno – per evitare di esser controllata». I dettagli del viaggio vanno ricercati in un momento successivo alla partenza, quando la Quest da un lato cambia bandiera, togliendo quella caraibica di Saint Vincent e Grenadine e la sostituisce con quella dei Paesi Bassi, dall’altro effettuata una sosta di circa tre ore, con ogni probabilità per effettuare il carico di stupefacente. Un monitoraggio, avvenuto con fonti aperti, che è poi proseguito con la navigazione verso la Libia. «La droga doveva essere scaricata al largo di Tobruk», aggiunge il colonnello Francesco Mazzotta, del nucleo di Palermo. Dall’ex patria del dittatore Mu’ammar Gheddafi sarebbe iniziato il secondo step del viaggio, questa volta via terra. Si ipotizza attraverso Egitto e successivamente sulla rotta Balcanica.
La droga era stata occultata dentro una celle frigorifera dall’equipaggio. Un gruppo di nove persone, tutte finite sottoposte a un provvedimento di fermo. A guidarle, nel ruolo di comandante, ci sarebbe stato un uomo di nazionalità rumena, assistito da un ucraino, un olandese, tre maltesi, due egiziani e un siciliano. Alcuni di questi già noti alle forze dell’ordine. Due di loro era stati arrestati dalla polizia spagnola perché coinvolti in passato nel settore del contrabbando di sigarette, mentre l’italiano, con precedenti per rapina, sarebbe un fuoriuscito della polizia penitenziaria. Ma a chi facevano riferimento questi presunti trafficanti? «Il nostro obiettivo, adesso, è risalire a chi c’è dietro questo nave», spiega in conferenza stampa il colonnello Cristino Alemanno. A dicembre 2016 era finito in manette Ben Zian Berhili. Ufficialmente titolare di una pasticceria a Casablanca, in Marocco, in realtà uno dei maggiori trafficanti di hashish a livello mondiale. Anche lui attivo lungo la rotta che aveva deciso di percorrere la nave Quest.
La droga in Marocco era stata sistemata con meticolosità assoluta e suddivisa in base alla qualità, come spiega un investigatore a MeridioNews. Una partita, considerata migliore, era confezionata all’interno di sacchi di iuta con impressa la sigla FR. Tutto il resto in contenitori della medesima tipologia ma con l’identificativo K2. A ogni panetto del primo gruppo era stata riservata una sorta di custodia in cotone, con impresso il simbolo del cavallino rampante della Ferrari dorato. «Segno, quest’ultimo, utilizzato per differenziare la zona di produzione dello stupefacente». Le singole confezioni, a loro volta, erano impacchettate con plastica e involucri vari. La prova finale è quella della morbidezza: più il panetto è flessibile maggiore è la sua qualità. «Il carico, nel complesso, ha un valore sul mercato di 20 milioni di euro. Con la vendita al dettaglio si sarebbe arrivati a guadagni vicini ai cento milioni di euro».
Il 12 aprile 2013, sempre lungo la stessa rotta, gli investigatori avevano intercettato un carico di 15 tonnellate di hashish prodotta in Marocco. Negli anni successivi le imbarcazioni scovate sono state una ventina, per poi arrivare a un punto di tranquillità due anni fa. «Da diversi mesi non intercettavamo carichi di questo genere – conferma il generale Angelo Senese -. La Quest è stata monitorata a una distanza di dieci miglia per 40 ore, fino a quando abbiamo deciso di agire». Il passaggio dalla Libia a qualcuno potrebbe fare ipotizzare collegamenti con il mercato degli esseri umani ma gli investigatori puntualizzano che, almeno per il momento, «non ci sono evidenze che porterebbero a un legame». In passato – quando la zona era sotto il controllo dello Stato islamico – le milizie di Daesh avrebbero sfruttato il traffico, per ottenere ulteriori guadagni, attraverso dazi imposti sul passaggio dalla Libia all’Egitto.
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