La prima volta? È arrivata tardi

Sono un docente precario. Uno dei tanti reduci da 2 sbarra 3 giorni di attese snervanti. Eh già: per alcune classi di concorso ci sono voluti tre giorni perché gli aspiranti insegnanti potessero conoscere il loro destino. Ad ospitare le famigerate “convocazioni” la scuola Ipssar Wojtyla di Monte Po. Una sede probabilmente inadatta ad accogliere tutta quella gente, accalcata sotto il sole ad attendere le chiamate. Al mio arrivo, alle 15 del 28 agosto, nella succursale di via Raccuglia – dove si assegnano le cattedre per le scuole superiori – attira la mia attenzione la presenza di una pattuglia di carabinieri. Non ho esperienza di convocazioni, per un attimo penso che si tratti di una cosa normale. Ma poco dopo si comincia a parlare di quel che è accaduto la mattina. Ci sono stati dei tafferugli fra alcuni docenti che concorrevano per il sostegno. Litigavano per tre posti. Tre posti che non comparivano nell’elenco delle disponibilità, ma che a loro parere dovevano essere disponibili per le supplenze. Si parla tanto di cattedre fantasma, non dichiarate alle convocazioni. Ma al momento non è ancora possibile comprovare questa situazione. Si vedrà alla fine, dopo che tutti i posti saranno stati assegnati. Si comincia bene dunque. E ancora non abbiamo visto niente.

Aspetto con pazienza la mia classe di concorso, sotto il sole, nel cortile, perché dentro la scuola molti aspiranti docenti hanno già occupato tutti gli spazi, sedendosi a terra o sugli scalini. C’è caldo fuori, ma c’è più caldo dentro e l’aria è irrespirabile.

Un commissario del Csa di Catania, delegato a fare l’appello per i docenti, urla. Ce l’ha con tutti coloro che, pur non appartenendo alla classe di concorso che è stata appena chiamata, si ostinano ad occupare la piccola aula “magna”. Mi guardo in giro, vedo delle facce conosciute, altri miei colleghi abilitati come me per la mia stessa materia. Quanti falsi sorrisi… qualcuno finge di essere felice di rivedere un collega o un conoscente, ma probabilmente dentro di sé pensa: “Ah c’è anche quella/o. Un posto in meno per me”. Forse qualcuno ha pensato lo stesso nei miei confronti. Ma in realtà di questo non mi importa molto. La mia attenzione è richiamata da tutta quella gente in attesa, in piedi, a terra, dalle madri con i passeggini, con i figli in braccio, dalle donne incinte, dalle persone più anziane di me, con qualche decina di anni in più, lo si vede dai capelli bianchi.

L’attesa è lunga, nel frattempo sento delle voci che non mi incoraggiano. “Ne hanno chiamati la metà, da me. E da te? – Più o meno anche da me”. Ci chiamano alle 20.30, ma niente da fare per quanto mi riguarda. Hanno chiamato fino al numero undici ed io sono molto più lontano. Molti si lamentano: “L’anno scorso avevano chiamato fino al venticinquesimo”. Li ascolto incuriosito e stupito. Penso già alla prossima convocazione, per le scuole medie. Deve aver luogo il giorno successivo, sabato mattina. Ma ci arriva la comunicazione che il tutto sarà spostato a lunedì, alle 15, in via Lizzio Bruno, sempre a Monte Po.

Arrivo puntualissimo, anche con qualche minuto di anticipo, giusto il tempo di prendere un caffé e salutare i miei colleghi. Anche questa volta le convocazioni scorrono lentamente. Pian piano l’androne della scuola si svuota, restano poche classi di concorso, fra cui la mia. Attendo con pazienza, sono le 21, ma il commissario al microfono annuncia che ci toccherà aspettare ancora un altro giorno. Quattro materie vengono spostate al giorno seguente, ma non molti sono d’accordo. Tanti colleghi sono venuti da tutte le parti della Sicilia, qualcuno anche dalla Calabria, e ora non sanno dove pernottare, non vogliono aspettare ancora un giorno. Si poteva finire già sabato 29. Giorno 1 settembre tutti i docenti italiani dovrebbero presentarsi nelle scuole per l’inizio dell’anno. La storia si ripete, qualcuno chiama i carabinieri poiché le convocazioni possano concludersi in giornata. Le forze dell’ordine arrivano subito, c’è una grande confusione, alla fine il maresciallo si dirige verso la commissione accompagnato da alcuni aspiranti docenti molto arrabbiati. Ma niente da fare, bisogna ancora attendere un altro giorno. Sappiamo tutti che saranno altre ore stressanti e sfiancanti, ma che possiamo farci? La speranza di ottenere una cattedra o “uno spezzone” – cioè solo una porzione delle 18 ore settimanali – ci trascina fino al giorno dopo, l’1 settembre. La mia classe di concorso è la prima. Meglio. Ci togliamo subito il pensiero, non ne possiamo più di aspettare le nostre sorti. Chiamano fino al cinquantatreesimo. Anche stavolta non ce l’ho fatta. A dire il vero all’inizio ero molto speranzoso; in graduatoria sono sessantasettesimo, l’anno scorso avevano chiamato oltre il centesimo posto. Ma quest’anno no, è rimasta solo l’illusione di poter insegnare in una scuola statale e di avere uno stipendio discreto.

Mi darò subito da fare già da domani, in cerca di una scuola paritaria che mi possa dare il punteggio, ma non uno stipendio. Oppure di un corso Forcom che potrà darmi tre punti in graduatoria e che mi costerà dai cinquecento ai mille euro. Ma so che anche in questo caso non sarà facile. Devo fare i conti con tutti gli altri miei colleghi che sono rimasti fuori e che con il coltello fra i denti faranno di tutto per prendere il punteggio. Aspetto anche le “code” degli altri tre istituti che ho inserito nella domanda per le graduatorie ad esaurimento e le graduatorie di istituto, ma mi sono un po’ scocciato di aspettare. Mi piacerebbe poter lavorare, dopo tanti anni di studio e tanti soldi spesi.

Si concludono così le mie prime convocazioni, fra l’amarezza e l’incredulità. Ho fatto alcuni conti e mi sono accorto che un anno fa avrei potuto prendere una cattedra. Quest’anno invece non si può, è umanamente impossibile per tutti i giovani che hanno solo l’abilitazione e pochi punti di servizio. E che continuano disperatamente a correre per arrivare prima degli altri. Sperando di arrivare alla prossima cattedra disponibile. Sempre che non venga tagliata prima.


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