Nelle carte dell'inchiesta Gaming off-line emerge l'organizzazione della cosca nel settore delle scommesse. Decine di agenzie sul territorio e alcuni uomini che sarebbero stati incaricati di controllare gli affari. Uno di loro diceva: «Indagini? Me la sucano»
La piramide dei Cappello e l’agente Massimiliano Salvo Giocate da 5mila euro e un sito in esclusiva per il clan
«Prima che parti l’agente vuole parlati». Poche parole, scritte in una chat del 2015, attraverso l’utilizzo dell’applicazione di messaggistica Telegram. A intercettarla però ci sono anche gli agenti della polizia di Catania e, ancora una volta, la loro attenzione si sofferma sull’utilizzo della parola «agente». Dietro quel nome fittizio in realtà si sarebbe nascosto il boss del clan mafioso dei Cappello, Massimiliano Salvo. Dominus assoluto, secondo i magistrati della procura etnea, del salto imprenditoriale del gruppo criminale un tempo guidato dall’anziano padre Giuseppe ‘u carruzzeri. L’ultimo settore finito sotto la lente d’ingrandimento nell’operazione Gaming off-line è quello delle scommesse. Affare da milioni di euro che la mafia riesce a controllare grazie a una rete piramidale che ha come asse portante le agenzie compiacenti sparse per la città. Uno scenario inquietante fatto di migliaia di puntate abusive sulle piattaforme online .com, vietate per legge in Italia ma comunque attive grazie alle licenze offerte in particolare dai bookmaker con base fiscale a Malta.
La mente di questo articolato sistema sarebbe stato Fabio Lanzafame. Imprenditore di Siracusa, appassionato di calcio e informatica, che ha fatto della Romania la sua seconda patria. Salvo poi pentirsi e iniziare a svelare tutto ai magistrati. Sarebbe stato proprio lui a mettere a disposizione le sue competenze, e il ruolo di rappresentante per la Sicilia della vecchia proprietà del marchio PlanetWin365, per inserire la famiglia Santapaola e il clan Cappello nel mondo del gioco d’azzardo. Tanto da predisporre per quest’ultimi in via esclusiva dei siti internet da utilizzare nelle sale da gioco. Per capire la geografia di questo sistema bisogna partire da telefonate, incontri, e chat intercettate. Decine di conversazioni in cui, oltre al nome dell’agente, compare quello del cugino Giovanni Castiglia e del padre Orazio. Il profilo che viene tratteggiato del 34enne è quello di una sorta di luogotenente di Salvo. A lui si arriva grazie a una riunione che il clan organizza in un noto bar del viale Mario Rapisardi, a Catania. Allo stesso tavolo, oltre a Castiglia, siedono Lanzafame, Salvo e Luca Santoro. Tramite alcuni agenti sul territorio Castiglia avrebbe gestito in prima persona il sito futurebet.com «appositamente creato per i Cappello», si legge nelle carte dell’inchiesta. Una sorta di bancomat che avrebbe garantito scommesse illegali e fatturati importanti per la rete commerciale dei Cappello.
Quando futurebet viene oscurato dai Monopoli di Stato ci sarebbe subito stata l’alternativa con il sito Betworld365. «Attivato per consentire alla rete gestita da Castiglia per continuare ad operare». Come avveniva, secondo l’accusa, in un’agenzia nel quartiere Antico corso. Attività dalla quale il duo Salvo-Castiglia avrebbe tentato in tutti i modi di estromettere il vecchio gestore. Poco incline agli affari ed eccessivamente amante del gioco. «Devi lasciare l’agenzia a zero», veniva intimato a Lanzafame, invitandolo a non ricaricare il fondo nero utilizzato per le scommesse. Cose che in realtà non sarebbe avvenuta, come viene messo nero su bianco dalle intercettazioni: «Oggi quello ci doveva dare le chiavi e tu ci hai messo il fido», è il rimprovero che viene fatto a Lanzafame Problemi che comunque sarebbero stati superati con il passaggio dell’agenzia sotto il controllo dello stesso Castiglia. Di questo ne sono ampiamente convinti gli investigatori. Una sorta di nuova gestione nel nome del clan sancito da un’intercettazione in cui l’uomo rispolvera introiti e prospettive di guadagno: «Ho appena chiuso. Incasso 1530 agenzia e chiosco 75 euro», raccontava a Lanzafame.
Con gli occhi delle forze dell’ordine puntati addosso però era meglio non comparire direttamente nelle società fittizie che ci sono dietro le agenzie. La via d’uscita, in un caso, sarebbe stata individuata nel cognato di Castiglia, Mario Bonaventura (non indagato, ndr). Istruito, con la presunta complicità della sorella, e mandato negli uffici della polizia amministrativa per ottenere un regolare permesso. La documentazione, successivamente, sarebbe passata nelle mani di un socio di Lanzafame nella società Gaming group. Con il monopolio diviso con i Santapaola, i Cappello avrebbero adottato anche alcuni accorgimenti in caso d’indagine. Come l’ordine, impartito da Salvo, di spegnere le telecamere di sorveglianza quando Lanzafame si recava nella sala scommesse di via Plebiscito. O come quando si precisava che era meglio fare incontri faccia a faccia anziché parlare al telefono. In qualunque caso Castiglia era sicuro il futuro non gli avrebbe riservato troppi grattacapi. Chiara l’opinione di un eventuale coinvolgimento in un’inchiesta con Salvo: «Me la sucano – diceva -Tra un anno o due anni fono fuori. Perché non ho telefonate».
Tra le agenzie preferite dei Cappello ce ne sarebbe stata una nel quartiere San Cristoforo. Insegna giallo-nera a marchio Planet Win 365 e una regolare concessione ministeriale che avrebbe fatto da paravento legale per effettuare le puntate sui siti .com. L’espediente che avrebbe garantito volumi d’affari molto alti ma anche qualche problema. Come quando Massimiliano Salvo, stando alla ricostruzione dei pm, avrebbe voluto fare una puntata secca da 5mila euro. Castiglia, intercettato, cerca di convincere il gestore della sala ad effettuare la scommessa, pur senza precisare per quale partita, ma dall’altro lato l’uomo non nasconde le sue preoccupazioni. «Mi devi fare arrestare – si giustifica -. Mi arrestano con le schedine così. Ho tutta la finanza qui sotto, succede un manicomio». Una soluzione alla fine viene trovata: distribuire l’importo su più puntate.