La notizia cambia veste

Quali sono i nuovi modi e mezzi per fare giornalismo e come riescono a sopravvivere questi nuovi formati della notizia da un punto di vista economico? Un quesito cruciale al quale si è cercato di rispondere durante uno degli incontri di apertura della quinta edizione del Festival del giornalismo di Perugia, intitolato “Rivestire l’informazione: i nuovi formati della notizia digitale”, il primo dei nove appuntamenti della serie Journalism Lab, dedicati al mestiere dell’informazione a cura del giornalista esperto di multimedia Vittorio Pasteris.

Si è parlato di come le notizie stiano indossando vesti diverse rispetto a quelle tradizionali del giornale, della radio e della televisione, per diventare video in rete, blog, infografica, cartoni animati, informazioni su tablet e cellulari e perfino mini soap opera, partendo dalle esperienze concrete di realtà come Blogo.it, Youreporter, Sky.it e Effecinque.

Nata sei anni e mezzo fa, la società editoriale indipendente Blogo.it è un network di circa 70 blog in cui circolano 5-6 mila notizie al giorno con 4 mila commenti. «Il margine economico è positivo e anche se la lamentela è che paghiamo poco, noi paghiamo tutti i nostri blogger, ovviamente con diversi scaglioni di retribuzione, ma sempre puntualmente», racconta Francesco Magnocavallo, uno dei fondatori del sito che lo scorso novembre ha raggiunto la soglia degli 8.5 milioni di lettori unici mensili in Italia e che a gennaio è stato acquisito da Populis, media company leader italiano nel settore dei blog professionali con il brand Blogosfere.

Grandi numeri anche per Youreporter che conta 900 mila contatti unici dalla data di nascita, il 28 aprile 2008, a marzo 2011 e 4 milioni di pagine viste, oltre ai 15 mila utenti unici e 2 milioni di video in un mese.

«Il nostro è un sito di giornalismo partecipativo, ma non è una testata e le notizie non vengono giudicate seguendo una linea editoriale», specifica Angelo Cimarosti, cofondatore insieme a Stefano De Nicolo, Alessandro Coscia e Luca Bauccio, della piattaforma. I video vengono caricati senza che venga operata una scelta editoriale, ma a differenza di quanto succede in siti come Youtube, sono categorizzati e quindi più facili da trovare. «Youtube è un oceano, mentre noi siamo una piccola isola. La suddivisione in 8.000 comuni italiani ci permette di fidelizzare l’utenza e i 16.500 citizen journalist iscritti sono migliaia di occhi sul territorio che spesso coprono gap dell’informazione standard e comunque la allargano», continua Cimarosti.

Ma fare giornalismo partecipativo per immagini costa tanto. I video pesano e i costi di server  ammontano a circa 70 mila euro all’anno. «Nel 2009 ci siamo accorti che stavamo andando veramente bene e quindi, paradossalmente, che dovevamo chiudere, perché non ci potevamo permettere i costi» racconta il fondatore. «Alla fine abbiamo optato per la pubblicità che ci permette di sopravvivere senza avere soci forti e di rimanere, quindi, anche un sito indipendente».

Chi non ha problemi di soldi è Sky.it, una delle testate dell’impero di Murdoch. L’ultimo esperimento è Beautiful Lab, realizzato in collaborazione con Effecinque, agenzia giornalistica specializzata in tecnologia e cultura digitale che lavora con formati innovativi, e Tiwi, società che progetta e produce video in motion graphics. «Il progetto – racconta Andrea Dambrosio, caporedattore news di Sky.it – è nato dall’esperimento riuscito di raccontare 20 anni di Beautiful in soli 6 minuti. L’idea era divertente e ci siamo resi conto che quello della soap opera è il modello ideale per raccontare la realtà italiana che ha spesso i risvolti di una soap». I quindici anni di rapporto tra Berlusconi e Fini in 4 minuti, per esempio, hanno raccolto 2 milioni di visualizzazioni in poche settimane.

«Il nostro – ha continuato Carola Frediani di Effecinque – è un modello di cooperazione inedito. La grande testata, la piccola realtà giornalistica e il piccolo start up di video si uniscono per creare un prodotto che si basa su due punti principali: un grosso lavoro di ricerca e un grande sforzo di sintesi». «La ricerca – spiega – è lunga perché l’arco di tempo su cui si indaga è ampio. L’abitudine di scavare nel contesto e raccontarlo si è persa nel giornalismo di oggi, tanto che se i giornali non si leggono giorno dopo giorno diventano incomprensibili».

La sperimentazione del racconto, in cui molte cose si dicono con la grafica – per esempio con le icone – e gli effetti sonori e altre con il parlato, unita al taglio ironico ha fatto di questo format nato per il Web – nonostante non preveda l’interazione tipica della rete – un prodotto di successo anche in TV. I tempi lunghi e la specializzazione dell’infografica però hanno costi notevoli.

Le idee dunque ci sono e riscuotono successo. Manca però un sistema economico che le supporti. All’estero è possibile sostenerle con il no-profit e i fondi pubblici, in Italia avere alle spalle un ricco editore sembra la soluzione ideale per i nuovi formati della notizia che sono in una fase iniziale di investimento e sperimentazione. Questa però non è affatto la soluzione più semplice e praticabile, sia perché sono pochi i ricchi editori, ma soprattutto perché sono ancor meno quelli illuminati.

Agata Pasqualino

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