La mafia prima e dopo la strage di via D’Amelio  «Ucciso per fermare nomina a Procura nazionale»

Un’analisi del fenomeno mafioso 24 anni dopo la strage di Via d’Amelio. La realtà attuale si intreccia con il passato, doloroso, dell’eccidio del 19 luglio del 1992. Al palazzo di Giustizia di Palermo, si svolge un convegno organizzato dall’Anm e dalla Commissione Parlamentare Antimafia per ricordare la figura del giudice Borsellino. All’incontro partecipano anche il presidente della Commissione Nazionale Antimafia Rosy Bindi, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il procuratore Roberto Scarpinato e il segretario generale dell’Anm Francesco Minisci.

«Non può esserci sviluppo vero senza legalità. Se non abbiamo una giustizia efficiente, non ci sarà mai sviluppo. I territori si stanno sempre più depauperando e, da tempo, diciamo che la lotta alla criminalità, l’affermazione di una legalità vera è la precondizione di un verso sviluppo democratico in questo Paese», ha esordito Roberti. «Credo che Paolo Borsellino oggi – ha proseguito – proverebbe una grande delusione ricordando le parole di Falcone quando asseriva che “la mafia come qualunque fenomeno umano è destinato a scomparire”. Di questo fenomeno non solo non si vede la fine ma, nonostante i risultati giudiziari ottenuti, abbiamo assistito e assistiamo a una propagazione delle mafie, anche all’estero». Roberti fornisce una sua versione di quanto accaduto oltre venti anni fa. Non solo al giudice ucciso in via D’Amelio. «Sono personalmente convinto – ha detto –  che nella determinazione della mafia a uccidere Falcone e Borsellino sia entrata la volontà di impedire la loro nomina a procuratori nazionali antimafia. Non ho prove di quanto affermo -ha concluso-, ma se fosse stato nominato Falcone o Borsellino, forse il rapporto tra lo Stato e la mafia sarebbe stato diverso».

 «Borsellino oggi è un simbolo di speranza – ha affermato Bindi – certo sarebbe preoccupato dalla situazione odierna, ma saprebbe cogliere i semi di speranza provocati da quelle stragi e da quelle morti. Sarebbe contento di non andare più da solo a parlare di mafia nelle scuole e che non potrebbe non registrare la sconfitta di quella mafia, quella delle stragi, anche grazie agli strumenti che ci siamo dati, sia sul piano legislativo e organizzativo. Credo che questi aspetti positivi li registrerebbe e penso che Borsellino e tutte le altre vittime della mafia non sono morte invano».

«Non parlerei di un affievolimento della lotta alla mafia – ha aggiunto la presidente della Commissione Nazionale Antimafia –  Parlerei di non adeguata formazione nella coscienza dei cittadini nella lotta a questa nuova mafia. Non dobbiamo dimenticare la reazione civile alle morti di 24 anni fa -ha ricordato-. La mafia di allora, però, era più visibile di quella di oggi che corrompe. È difficile far comprendere che la mafia del Nord che emerge dalle intercettazioni va combattuta come quella di allora». La coscienza di un Paese, ha sottolineato Bindi, va tenuta viva con la consapevolezza, e negare la realtà è il primo passo che bisogna superare. «La mafia c’è, e per riconoscerla bisogna avere elementi di analisi sempre aggiornati. È un lavoro importante -ha concluso- per questo come Commissione abbiamo sollecitato le università perché se la mafia è un dato costitutivo della storia italiana va insegnata nelle scuole».


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